La felicità prima della fine - Nietzsche a Torino
“Molto strano! Da
4 settimane comprendo tutti i miei propri - anzi, li stimo. In tutta serietà,
non ho mai saputo che cosa significassero; mentirei se volessi dire che, a
parte ‘Zarathustra’, mi avessero impressionato” – p.160. È lo stato di
particolare aura, prima dell’evento: di chiarezza anche autocritica. Al termine
di un autunno “di sfrenata bellezza” ancora a dicembre, ottimi cibi, cortesia,
musica eccezionale – “sono appena
tornato, il 2 dicembre 1888, una domenica pomeriggio, “da un grande concerto,
che è stato a conti fatti, la più forte impressione concertistica della mia vita”, commosso fino
alle lacrime, per “un pubblico sceltissimo”, scrive al musicista
Köselitz (“Peter Gast”), “tutte cose estremamente raffinate”: l’ouverture
dell’ “Egmont”, la marcia ungherese
(probabilmente il “Divertimento all’ungherese”, n.d.r.) di Schubert, un pezzo
per gli archi di Rossaro, musicista torinese morto trent’anni prima (è questo
pezzo che lo ha fatto piangere), la “Sakuntala Ouverture” di Karl Golmark,
“otto volte una tempesta di applausi”, ancora un pezzo per archi, il “Canto
ciprio” di Vilbac, quindi l’amatissimo Bizet, l’anti-Wagner, l’ouverture
“Patrie”.
Nietzsche a Torino
è di un entusiasmo senza limiti, sfrenato, incontinente. Pensare di scrivere
all’imperatore, di scrivere e Bismarck, di abbozzare comunque le lettere, per
annunciare la rivoluzione, o di rivoluzionare il mondo con gli annunci
editoriali, delle proprie opere, è eccessivo ma non strano. La concitata
corrispondenza si segue divertiti ma non perplessi. Complici di una bizzarra
efflorescenza di benessere. Una produttività straordinaria, quattro libri in
quattro mesi, tutti “capitali”, e corrispondenze fitte, elaborate, con gli
amici, gli editori, le conoscenze, i critici. Con progetti di edizione ovunque,
in francese, in inglese. Per l’italiano pensa a Carducci, per il quale abbozza
una lettera, a Natale del 1888, poco prima del crollo: “Stimato signore, so fin
tropo bene quanto lei comprenda il tedesco: consideri se non vuole presentare
agli italiani” anzitutto “Nietzsche contra Wagner”, l’ossessione principale.
“Un attentato”
dice le sue ultime opere “volto alla totale distruzione dei tedeschi”, rei di
non riconoscerlo, di con apprezzarne la grandezza, Ma, insieme, di perfetta lucidità
nelle argomentazioni, contro Wagner e la décadence, per la creatività
come gioco, lieve, e contro le nebbie della filosofia tedesca. Opinabile ma
comprensibile.
La serie di
lettere messianiche predisposte già molto giorni prima del crollo, all’imperatore,
a Bismarck, a Taine, a vari interlocutori, alcuni fittizi per i progetti di edizioni
multilingue, date per reali, e per annunciare l’“attentato al cristianesimo”,
sono di evidente mania di grandezza. Una sorta di sindrome di onnipotenza. Declinata
ragionevolmente (grammatica, sintassi, consequenzialità, titoli, personalità e
qualità del destinatario). Ma in una sorta di hortus conclusus, in uno
stato irenico, insensibile alla stagione – celebra l’eterna primavera a Natale
a Torino, dopo la nebbia e il nevischio.
Una condizione di
“entusiasmo”, in senso filosofico e teologico, un invasamento. L’esaltazione è
confortata dagli apprezzamenti di Strindberg, entusiasta, e di Taine. Ma si
nutre dell’ossessione di Wagner – ne è minata. Della Germania sempre. E anche degli
ebrei, contro il cognato e la sorella antisemiti, ma in filigrana ubiqui:
“Senza ebrei non c’è immortalità”, spiega da ultimo all’amico Köselitz (“Peter
Gast”), “non a caso sono «eterni»”. Allo stesso ha spiegato il 9 dicembre,
ancora presumibilmente lucido: “Lei sa già che per il mio movimento ho bisogno
di tutto il grande captale ebraico?”.
Curate da Giuliano
Campioni (sulla traduzione di Vivetta Vivarelli), che le dota di molte note,
purtroppo come al solito in queste edizioni Adelphi di notevole perdita di
tempo e distrazione, così complicate da compulsare.
Friedrich Nietzsche, Lettere
da Torino, Adelphi, pp. 269 € 15
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