L'islam si vuole triste
Dopo
vent’anni, rinnovandosi i riti talebani, le rondini che chiudevano in primavera
questo tetro racconto non c’è più speranza che si materializzino. Resta il
racconto, sempre molto vivace, di cos’è la vita nell’Afghanistan talebano. La
riproposta è funestata dalla sopravvenuta guerra in Europa, dalla violenza di
casa nostra, ma in fondo anche l’Afghanistan è stato per vent’anni casa nostra,
anche se non lo sapevamo, non ce ne accorgevamo. C’è chi associa Kabul agli
aquiloni, Yasmina Kadra alle rondini, i fumatori al paradiso in terra, ma sono
false rappresentazioni. Si lapida una donna – l’adulterio è femminile. Lo
stadio si riempie per le esecuzioni pubbliche. Mogli, figlie, sorelle sono
condannate all’oscurità forzata del burka.
Ogni gioia è svanita, ogni attesa di un rinnovamento, sia pure religioso. Il
giovane, coraggioso mujahid,
convertito carceriere, sopravvive a se steso, inciampa sui suoi piedi.
Un
apologo senza morale. Un racconto, si direbbe, maupassantiano, tal quale –
“Khadra”, di suo Moulessehoul, è un ex colonnello dell’esercito algerino al
tempo della jihad trent’anni fa che
fece un milione o poco meno di morti, sa di che si tratta. E però più di un
sospetto alimenta: la rivoluzione si mangia i suoi figli, come si suol dire, delude per primo chi ci crede.
Yasmina
Khadra, Le rondini di Kabul, Sellerio, pp. 248 € 14
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