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Destra
–
Politicamente, è molto di sinistra – Gabriel Marcel. Nella primavera del 1961,
a una delle prime riunioni del Centro di Vita Italiana, da lui appena fondato a
Roma, Ernesto De Marzio, esponente allora di primo piano del Msi, invitò Gabriel
Marcel, a discutere sul tema: “Che significa uomo di destra” – sull’intervento
romano di Marcel, Andé Parinaud innestò una diffusa intervista per la rivista parigina
“Arts”, ripresa dal quotidiano conservatore spagnolo “Abc” il 2 agosto 1962. La
prima e maggiore differenza, o caratterizzazione della destra, secondo Marcel,
è “la posizione di fronte al passato, che è anzitutto un atteggiamento di
discernimento: consiste nell’ammettere che gli uomini che ci hanno preceduto
hanno diritto a un certo rispetto”. Mentre l’uomo di sinistra legge il passato
in funzione del presente. L’uomo di destra sarebbe cioè l’opposto, oggi, della cancel
culture. Non sarebbe invece di destra, arguisce Marcel, la conservazione: “Possono
esserci cose da esumare, cose da ravvivare, ma conservare mi sembra una parola
di cui non si sa a che serve”. Patria, religione,
lavoro non dividono. Nemmeno la scienza divide, o innovazione. Anche nella sua
riduzione tecnologica. Né divide la questione sociale: una destra “non sociale”
è secondo Marcel una contraddizione. La grande differenza è la considerazione
riservata, insieme con la storia, della “persona umana”: agli antipodi dell’uomo-massa,
ma di un individualismo temperato.
Guerra
- La
“guerra giusta”, cioè accettabile e anzi necessaria, molto dibattuta senza esito,
da ultimo da Norberto Bobbio, trova una formulazione efficace in un testo breve,
a suo tempo celebre, di Elizabeth Anscombe “Mr Truman’s Degree”. Un pamphlet
di dieci pagine col quale l’“assistente” di Wittgenstein contestava nel 1956 la
decisione dell’università di Oxford di conferire la laurea honoris causa
che all’ex presidente americano Truman. La combattiva Miss Anscombe, la “vecchio mio” di Wittgenstein, la sola donna ammessa ai suoi seminari,
una dei pochi che lo capirono e per questo non l’ha seguito, poi buona moglie e madre di sette figli, che si vedeva in facoltà in pantaloni sformati
e giacche maschili, fumava il sigaro e scalava i monti, articola contro Truman
un ragionamento semplice. Non si oppone alla guerra da pacifista, anzi crede
che le guerre vadano combattute, ma spiega che quella contro le potenze dell’Asse
era diventata ingiusta col concetto di “resa incondizionata”, e col passaggio,
sempre da parte Alleata, dal concetto tattico di “bombardamento per obiettivi”
a “bombardamenti d’area” – al bombardamento sistematico di tutte le città
tedesche, e infine con i massacri atomici. La guerra diventa ingiusta per l’utilizzo
di “mezzi immorali”.
Il
bombardamento atomico del Giappone, la cui responsabilità è unicamente del
presidente americano, lo è stata per una serie di motivi che Anscombe elenca:
il Giappone cercava un armistizio (lo aveva chiesto a Stalin), il bombardamento
di Hiroshima e Nagasaki non era contro obiettivi militari, si sapeva che avrebbe
distrutto tutto, che non ci sarebbero stati superstiti, e avrebbe lasciato l’area
contaminata. “Scegliere di uccidere l’innocente come mezzo per i vostri fini è
sempre un assassinio”, stabilisce Anscombe recisa a metà ragionamento, dopo
avere continuato a porre il problema in forma ipotetica.
Il
governo britannico Anscombe collega a Truman nella responsabilità per l’eccesso
di difesa. Aveva dichiarato di attenersi al trattato internazionale del 1923
che ripudia come criminosi i bombardamenti aerei di obiettivi privati e civili,
e poi lo ha poi ripudiato esplicitamente, portandosi dietro gli Stati Uniti.
Uno
studioso successivo, storico della filosofia antica, Jonathan Barnes, nel suo
contributo alle celebrazioni a Ginevra di Jeanne Hesrch nel 2001, “Jeanne
Hersch – La Dame aux paradoxes”, analizza il pamphlet di Anscombe alla
luce del diritto “feziale” romano, il diritto che governava le relazioni
internazionali, che prevedeva condizioni restrittive affinché una guerra si potesse
combattere sulla base di una giustificazione. I feziali, il collegio
sacerdotale elettivo che dichiarava la guerra per conto del Senato e del popolo
romani, non poneva in realtà limiti alla distruzione bellica. Analizzava però
ed elaborava i motivi per cui i Romani dovevano dichiarare guerra. Dava cioè
uno scopo alla guerra, non la pura e semplice distruzione del nemico. Se non di
una guerra proporzionata all’offesa, di una guerra comunque limitata nello
scopo.
Libertà – Un paradosso?
Serve l’oppressione per sentirsi (essere) liberi? Ne “Il mito virtuista” Pareto
ha questo aneddoto storico: “In tutti i Paesi il bestiame che viene dai paesi forestieri
viene giudicato molto pericoloso per l’igiene. Nei Paesi vinicoli il vino di
uva secca è proprio cattivo per la salute. Vi si proibisce l’alcol, ma non si
ardisce restringere l’uso del vino. La Finlandia aveva votato una legge che
proibiva ogni bevanda alcolica. Anche il vino della messa dei cattolici, ma permetteva
la piccola birra fabbricata in paese. Il Governo «dispotico» dello Czar non
avendo sanzionato questa legge, i finlandesi hanno ancora la «libertà» di bere
del vino; essi non l’avrebbero più, se il loro Paese fosse stato «libero»”. E
commentava: “Tale è il nuovo senso della parola «libertà». L’uomo è tanto più
«libero quante più cose gli sono proibite. In questo modo il massimo della
libertà tocca all’uomo chiuso in cella”. Toccherebbe. Il carcere (l’oppressione)
può essere senza luce, né prima né in fondo al tunnel.
Oscenità -
È
il portato di una mente lussuriosa. Cioè, dal suo punto di vista
virtuoso, malata. È ovvio – è nella natura dei concetti, che si precisano per
opposizione. Ma è di fatto storicamente, nella psicosi che la chiesa ha – avuto
fino a non molti anni fa – del peccato carnale, degli atti impuri. Come lo
diceva Pareto, più ironico che scandalizzato ne “Il mito virtuista” già un secolo
e passa fa, nel 1911 – “Il mito virtuista e la letteratura immorale” sarebbe il
titolo completo: nessuno vi è più impegnato dei Padri della Chiesa, che in
teoria dovevano disinteressarsene. “Presso un gran numero di Padri della Chiesa
c’è una vera smania”, nota, “si occupano con compiacente orrore del rapporto
fra i sessi; ne parlano e vi ritornano a ogni proposito”. Anche volendo
trattare dell’opposto: “La castità stessa è per essi un eccitante: la donna vergine,
soprattutto, è sempre presente al loro spirito”. In “perfetta buona fede”, argomentava
Pareto, ma essi “non si avvedono che, sotto il pretesto di ascetismo, finiscono
per dare soddisfazione dell’istinto stesso che vorrebbero reprimere”.
Populismo –È nato a sinistra,
politicamente. Risentito, sempre a sinistra, come una degenerazione dal corretto
impegno politico, una deriva della ragione critica verso un passionale confuso
umanitarismo. Ma non sempre.
Nel
libro intervista “Pasolini su Pasolini”,, realizzato nel 1975 con lo
storico inglese Jon Halliday - – fratello di Fred, l’animatore della “New Left
Review” londinese e professore alla London School of Economics - il populismo viene
rivendicato, da Pasolini, con poche resistenze dell’interlocutore inglese. “Crede
di poter definire Gramsci un populista?”, è la domanda di Halliday. “No, non credo
che si possa”, è la risposta. Ma Pasolini aggiunge: “Non annetto alcun
significato peggiorativo alla parola «populista». La adoperano (in senso spregiativo,
come accusa evidentemente, n.d.r.) i moralisti marxisti, insieme con il termine
«umanitarismo». Non sono assolutamente d’accordo. Per me, populismo e umanitarismo
sono due fatti storici reali: tutti gli intellettuali marxisti hanno radici
borghesi, l’impulso a diventare marxista può solo essere di tipo populista
umanitario, per cui questo fattore si trova inevitabilmente in tutti i marxismi
borghesi, compreso Gramsci. Io non lo giudico un fattore negativo, rientra
semplicemente nell’inevitabile transizione…”, etc. è il modo per convincersi e
convincere, fare massa, a vere consenso.
zeulig@antiit.eu
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