Giuseppe Leuzzi
“Nel regno della mafia”, Napoleone
Colajanni, è già titolo del 1900 – Napoli 1900. L’Italia è nata con la mafia
attaccata.
In un’annotazione dell’ottobre 1954, che
pubblicherà nel “Diario di un borghese”, Ranuccio Bianchi Bandinelli lamenta
“il ritornello: Orgoselese delinquente”. Perché, dice, porta “a una
riflessione e constatazione assai grave: che l’attuale governo sta applicando a
poco a poco a tutta l’Italia la stessa mentalità rozzamente colonialistica, con
la quale aggrava il fenomeno del cosiddetto «banditismo» orgosolese”.
Ma si può dire di tutti i governi, la
mentalità è sempre colonialistica – con molti “collaboratori volenterosi”.
Vertiginosa sintesi della storia d’Italia
in un capitolo breve della “Geografia e storia della letteratura” di Carlo Dionisotti:
i Vespri Siciliani rilanciano l’opposizione ghibellina per tutta l’Italia,
s’interrompe
il predominio della langue d’oïl, si rafforza il volgare, si fa strada un
accesso diretto, invece che mediato dalle traduzioni francesi, a fonti latine.
Si leggono con disagio le cronache
dell’inchiesta a Roma sulla ‘ndrangheta, sui quaranta o cinquanta arresti ordinati
dai “pm Luciani, Minisci e Musarò, coordinati dagli aggiunti Ilaria Calò e
Michele Prestipino”. Un’inchiesta dunque seria, con cinque giudici a
sostenerla, compreso l’ex vice di Pignatone inventore di Mafia Capitale,
gli arrestati saranno sicuramente mafiosi.
Ma a tutt’oggi, dopo tre settimane, sappiamo
solo di nomi di politici spesi, magari una sola volta, nelle telefonate intercettate.
Di Pirozzi e Alemanno, politici di destra. Mentre Prestipino è del Pd. La mafia
come mezzo?
Sentirsi bene nel dialetto
“È solo ideologia cercare di scavare nei
dialetti chissà quali tesori ancestrali e originari”, sbotta Enzensberger
(“L’Espresso”, 27 ottobre 2005): la giornalaia all’angolo parla il dialetto di
preferenza perché “nel dialetto si sente bene, come a casa propria, punto”.
Ma questo non è poco, è anzi moltissimo:
sentirsi in pace. Il dialetto è fondante. Finché rimane la lingua materna,
certo. Ma perché cancellarlo o sostituirlo? Il bilinguismo è meglio di una
lingua. Oppure no? E comunque insopprimibile, se c’è, è una sorta di imprinting:
gli indiani sono – si sentono – indiani benché da due secoli anglofoni.
Va col dialetto normalmente il regionalismo,
o localismo. È la lingua locale, circoscritta, delle società stabili, e si mantiene
come “costruzione mentale” anche nella società mobile, nomadica, di oggi. Come un
documento sotterraneo di riconoscimento. Ma come una prima ossatura, o una prima
costituzione fisica e logica – loica. Una bardatura anche, è vero, che può
limitare il movimento, sia pure solo psicologico, mentale. Ma è una radice – lo
sradicamento andrebbe rivisto, da troppo tempo è un valore di per sé, senza
esiti buoni visibili: fare il manovale a Lubecca, invece che a Catanzaro, per
la stessa paga oraria, non conviene e anzi costa, e non necessariamente
arricchisce (di cosa nella fattispecie? l’apprendimento forzoso di una terza lingua,
di cui non c’è bisogno, e la consuetudine gravosa al buio e al freddo).
Il dualismo è del costo della vita
“Il Sud subisce ogni anno un consistente
drenaggio di capitale umano”, è la considerazione con cui Dario Di Vico apre lo
speciale Sud del settimanale “7” del “Corriere della sera”: “Tantissimi giovani
meridionali, si calcola il 23 per cento, scelgono il Nord e disertano le università
del Sud”. Si dice, si pensa, perché al Sud non c’è futuro.
Forse. Pesa anche lo scarso investimento nell’istruzione
superiore. Per effetto del reddito basso, o per altre ragioni scusabili, per
esempio il pendolarismo, ma comunque con questo esito, che pesa forse più del
calcolo di Di Vico: la percentuale di giovani di 20-24 anni con un “livello di
istruzione elevato” sul totale di quella classe demografica è al Sud poco più della
metà della media europea (39,4 per cento), con le punte negative della Calabria
(20,3 per cento) e della Sicilia (20,1), calcola il “Country Report della
Commissione Ue sull’Italia della settimana scorsa. Ma di più conta integrarsi
al Nord subito, il prima possibile, dato che il futuro, l’attività, si svolgerà
quattro volte su cinque al Nord.
Le famiglie investono in un’università del
Centro-Nord per fare entrare i figli il prima possibile nel sistema economico settentrionale,
o meglio nel costo della vita settentrionale, entro cui integrarsi (ingegnarsi,
adattarsi, regolarsi). Perché l’Italia ha due costi della vita, benché in un
sistema economico unico: delle abitazioni e degli affitti come dei consumi
quotidiani, alimentari, di trasporto, di abbigliamento - anche se la
distribuzione in questo caso è nazionale, i prodotti sono gli stessi. E il Nord
vale-costa il doppio del Sud.
Si sono abolite le gabbie salariali ed è
giusto, non si può discriminare il salario in base alla regione geografica. Ma è
una misura giusta che però avvantaggia la manualità, e svantaggia-indebolisce
la professionalità – là dove è salariata, stipendiata. Per esempio nel pubblico
impiego, dove, spiega il ministro dei Trasporti Giovannini, a proposito della
Motorizzazione: “Su 320 posti da funzionario messi a concorso”, e vinti, “una
quota consistente ha rinunciato, evitando di prendere servizio, a meno che non
gli fosse indicata una sede al Sud”, un’altra sede da quella di prima destinazione.
Un dipendente pubblico al Sud è un signore, altrove fatica. Avveniva in Emilia-Romagna già trent’anni
fa nella sanità: un infermiere-a del Sud, benché sottoccupato-a o disoccupato-a,
aveva difficoltà a trasferirsi, con contratto a tempo indeterminato, nella
sanità pubblica, perché la paga non copriva, o male, le spese di affitto e
mantenimento. Lo stesso anche a livelli un po’ elevati: un direttore di supermercato
che è un signore a Gioia Tauro, avrebbe qualche problema a Milano, anche a
Crema – problema di status, di decoro, e di capacità di spesa, e risparmio,
anche di sopravvivenza. Più forte è la sperequazione reddito\consumo per lavoratori
autonomi, idraulici, elettricisti, meccanici, pittori, anche informatici, che
si pagano come da Roma in su e spendono la metà, un terzo e un quarto – vivere dove
si è nati ha un costo dell’abitazione zero o minimo.
Si dice che il Sud fugge da se stesso per
mancanza di prospettive, di occupazione, di reddito. Di fatto il Sud è pieno di
occasioni, nella vasta area dell’offerta pubblica, per esempio le infrastrutture,
la sanità, ma anche in quella privata, nell’agricoltura, nella prima agroindustria,
nel commercio, nella rappresentanza e assistenza tecnica. Che sono sfruttate però
male, questo è il fatto: i posti migliori non sono occupati al top della professionalità, raccolgono
anzi gli scarti del mercato nazionale. La migliore si è ambientata da Roma in
su – integrandosi in quel sistema economico-costo della vita per tempo. La
sanità è di scarsa qualità, o l’imprenditoria è debole, per questo motivo,
perché ci sono due Italie economiche, due livelli di costi della vita.
Se il trasporto costa più del prodotto
Si ordini in Sicilia, o in Calabria, anche
in Puglia, frutta o altri vegetali di basso valore aggiunto, arance, mandarini,
limoni, di qualsiasi specie, anche prodotti di qualità, locali, patate, riso, anche
prodotti di prezzo unitario elevato, vino, olio, si pagherà di spedizione quasi
sempre più che per il prodotto. Anche se, per lo più, genuino: fresco, bio
eccetera. La distanza dai mercati penalizza l’agricoltura di buona parte del Sud
– anche della Sardegna, s’immagina – che soprattutto primeggia in agricoltura,
e nell’incipiente agroindustria.
È un handicap cui non si pensa, e che
andrebbe superato con intervento pubblico – non si può chiedere al piccolo produttore
di investire in una grande distribuzione o un costoso immagazzinamento. Tanto
più che sono produzioni il cui valore aggiunto è in larga proporzione il
fresco. Ma è l’ultima cosa cui i poteri pubblici locali pensano. Investono molto
e volentieri in viaggi promozionali e in pubblicità, si spera solo per insipienza, senza ristorni mascherati, ma
non in una struttura distributiva che serva da supporto, per il Centro-Italia, per
il Nord-Italia, magari per il Nord-Est e per il Nord-Ovest.
Ma tutto questo, poi, è una mancanza
atavica, una distorsione mentale, il lascito di qualche dittatore cattivo, oppure
una mancanza, e a questo punto una colpa? Anche privatamente, fra camere di commercio
o fra associazioni di produttori, si potrebbe creare una struttura distributiva
a ridosso dei grandi mercati di consumo. Non è (sarebbe) difficile.
Il primo problema del Sud, si direbbe, non
è la mafia, è la politica.
Migrazioni ordinarie
“Lei non sembra meridionale” è il
complimento faticoso che tocca nei percorsi bizzarri dell’emigrazione – la
quale è un fatto corrente, non è un’eccezione e in fondo mai nemmeno una condanna
o una punizione: emigriamo sempre, di poco o di molto.
Piccoli e neri – s’intende questo per meridionale
– se ne trovano ovunque, e forse in più gran numero fuori del Meridione. Se i
connotati sono razziali, specie le connotazioni lombrosiane, bisogna dire che
le razze sono molto mescolate.
Quanti romani non si trovano in Romania,
antichi romani? E quanti francesi - galli (celti) o normanni (vichinghi) - in
Italia. Un censimento non si può fare - forse col dna. Ma guardandosi in giro è
un’evidenza. Ci saranno anche più Normanni in Sicilia, Calabria e Puglia che in
tutta la Normandia, perché no – o più Normanni in Sicilia, Calabria e Puglia
che Arabi.
Mentre a Roma si fanno gli italiani, quel
sangue misto che è l’Italia di oggi. Una città di vecchie comunità, anche latine
i primi tempi, ma poi più definitamente ebraica, marchigiana, umbra,
senese-grossetana, e ora anche calabrese e abruzzese, e un po’ di ogni dove –
quanti valtellinesi a Roma, nel primo Novecento facevano loro il commercio
alimentare, e hanno ancora la loro banca, in ogni quartiere e sotto-quartiere.
Calabria
La Polizia ha una struttura internazionale apposita per la ‘ndrangheta:
Ican, Interpol/Italia cooperation against 'ndrangheta. Finanziata con 4,5
milioni, l'anno. Una struttura d’eccellenza, ricca, una delle poche – l’unica?
– dedicate dallo Stato alla Calabria.
Ma il suo ideatore, il vicecapo della Polizia prefetto Rizzo,
capo anche della Criminalpol, non sa che Rocco Morabito non e stato arrestato
in un grotta dell’Aspromonte (che non ha grotte) ma in Sudamerica, dalle
polizie sudamericane. E non è “capo indiscusso della 'ndrangheta”, che si
caratterizza per essere acefala – o avere molte teste.
Sapere di che si parla non risolve ma fa buona impressione –
in Calabria non quadra mai nulla.
Capita di dover ascoltare in due distinti
locali conversazioni fra amici che progettano le vacanze. In Calabria, dove però
ci sono già stati. Tutti perplessi, e anzi negativi - è gente supponente, è
tutto sporco, non funziona nulla, manca l’acqua, hanno luoghi bellissimi è un
peccato che ne siano i padroni. Però, ci sono andati, e probabilmente ci tornano. Perché costa poco? Ma neanche questo è più vero. La fama – l’immaginazione
- può superare la realtà. O è viceversa?
Capita invece spesso, a Roma, d’incontrare
professionisti, medici, avvocati, qualche artigiano, ebanista, sarto, di
origine calabrese, che non la nega, e volentieri dice dove e quando, ma
“personalmente” dichiara di non averci più a che fare. Sempre per un motivo:
corruzione, imbroglio, inefficienza, non esclusa la violenza. Tutti vittime in
Calabria? Di chi?
Ciò – la disaffezione - contraddice la
calabresità. Una delle tante -ità (napoletanità, sicilianità), le psicologie
sociali spicciole che caratterizzano il Sud. Che forse avrebbero bisogno di un ripasso:
molta emigrazione è volontaria.
Proust calabrese? Analizzando la madeleine,
il biscotto di Proust (“un biscotto panciuto e friabile”), il recupero casuale
di esperienze e sensazioni remote, Giacomo Debenedetti lo spiega così (“Il
romanzo del Novecento”, 374): “A questi ritorni Proust dà il nome di
«intermittenze del cuore». Questo riaffiorare di ricordi in virtù di un associarsi
di sensazioni è un fenomeno di esperienze comuni, non è stato certamente Proust
il primo a provarlo e a descriverlo. Un nostro vecchio filosofo calabrese, che
visse e lavorò a Napoli nei primi decenni del secolo scorso (dell’Ottocento,
n.d.r.), e fu tra l’altro un pioniere dello studio di Kant in Italia, Pasquale
Galluppi insomma, ha legato il suo nome a una legge empirica di psicologia, la
quale accerta che una serie o un sistema di immagini tende a riprodursi per
intero quando ce ne sia richiamata una parte allo stato di immagine sensoria”.
Ma Galluppi, chi era costui? Galluppi peraltro, testimonia Debenedetti, e non Bergson, cone dicono i proustologi.
leuzzi@antiit.eu
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