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Cronache dell’altro mondo – abortive (186)
La Corte Suprema è chiamata a pronunciarsi su una legge del
Mississippi che vieta l’aborto dopo la quindicesima settimana. Finora l’aborto è da
quasi cinquant’anni negli Stati Uniti praticamente libero, in alcuni stati anche in “fase
perinatale”, cioè nei primi giorni di vita del neonato – che sarebbe in altra legislazione
infanticidio.
Una legge federale, The Unborn
Victims of Violence Act del 2004, riconosce un embrione o feto a qualsiasi
stadio di sviluppo come una vittima in caso di violenza contro la madre. Senza questa condizione, l’aborto è praticamente
libero, senza limiti di tempo.
Questo fino alla decisone del partito Repubblicano,
a partire dalla legge del Mississippi, di passare sul fronte dell’aborto
regolato: in attesa che la Corte si pronunci tutti i 26 stati a
governo Repubblicano hanno approvato o discutono leggi che limitano l’aborto
libero. Idaho e Texas hanno proibito l’aborto
dopo sei settimane di gestazione. L’Oklahoma l’ha reso del tutto illegale.
Le leggi statali restrittive non limitano di necessità l’aborto, essendoci
in tutti gli Stati Uniti la libertà di residenza.
In senso opposto marciano gli altri 24 stati, a governo Democratico,
specie quelli del Pacifico. Washington ha vietato azioni legali, a qualsiasi
titolo, contro chi abortisce e chi pratica l’aborto, anche in altri stati.
Oregon paga le spese di viaggio per aborti di non residenti. La California ha ultimamente imposto alle assicurazioni private e alla sanità pubblica di
coprire l’intero costo dell’aborto, senza franchigie.
In Italia – e in Europa in genere – si può abortire entro
i primi 90 giorni di gestazione, per motivi di salute, e anche economici,
sociali o familiari.
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