lunedì 30 maggio 2022

Il confronto Usa-Russia è sull’energia

“Energy, Climate and the Clash of Nations” è il sottotitolo. Yergin, storico delle origini della Guerra fredda, “The Shattered Peace” (l’ambasciata americana a Mosca era sospettosa dei sovietici, soprattutto dei tanti ebrei nel sovietismo, già negli anni 1920….), col tempo specialista poi dell’energia (premio Pulitzer nel 1991 per “Il premio. L’epica corsa al petrolio, al potere e al denaro”), fondatore di una Cambridge Energy Research Associates, poi acquisita da S&P Global (Standard&Poor’s, etc,), di cui è vice-presidente, analizza la transizione in programma verso un futuro senza fonti di energia fossili nel quadro dei rapporti globali di potenza. Che vede in questa fase nel confronto fra Stati Uniti e Russia, più che con la Cina, poiché a suo giudizio è l’energia che decide il futuro, la Potenza delle nazioni.
La tesi del libro è che gli Stati Uniti sono i meglio equipaggiati per vincere la gara. Sono già il primo produttore mondiale di petrolio, col 17,1 per cento del totale mondiale (i dati sono del 2020), la Russia è seconda, col 12,6. Sono anche i primi produttori di gas naturale, col 23,5 per cento del totale mondiale, con la Russia seconda, al 18. E la leadership si perpetuerà, questo il secondo assunto del saggio, grazie alla diffusione del fracking, la tecnologia di produzione di idrocarburi dagli scisti bituminosi, di cui gli Stati Uniti (e più il Canada) sono larghi detentori.
Una prospettiva bizzarra, basare la supremazia americana sugli scisti bituminosi, la cui lavorazione è per più aspetti inquinante, e anche fortemente. Bizzarra per un assunto che pone il clima tra i suoi obiettivi, la protezione dell’ambiente.

Successivamente, presentando il libro, lo studioso si è spiegato. La transizione al 2050, come decretata dalla Ue, è un termine troppo breve. Che vede la Cina favorita, poiché ha deciso il passaggio in massa affrettato alla circolazione elettrica, disponendo dei materiali per la fabbricazione delle batterie. Ma anche la Cina, che continua a produrre elettricità col carbone, avrà problem. Per non dire dell’India, un “continente” come la Cina, il cui scopo primario è ora di far arrivare l’elettricità a tutto il paese, o anche soltanto il gas propano in bombole, per smettere l’uso di bruciare stoppie e legna. Nei paesi più avanzati le fonti cosiddette “alternative”, insiste Yergin, solare e vento, hanno il grosso problema della conservazione, dell’immagazzinamento dell’energia prodotta, altrimenti nelle notti lunghe, e nelle estati senza vento, si creerebbero problemi per l’approvvigionamento.  

Yergin contesta anche la tesi che la ricerca e produzione di idrocarburi abbia da tempo raggiunto il picco e sia ora in declino. Con abbondanza di cifre. Che però non smentiscono la scarsità dell’offerta da quasi un anno, ben prima della guerra Ucraina e della (tentata) messa al bando delle esportazioni russe di petrolio e gas: i prezzi di petrolio e gas sono da tempo in risalita.
Più bizzarro ancora è che l’egemonia americana venga basata sugli scisti solo in virtù dell’Energy Policy Act del 2005 (o “Dick Cheney energy bill”, dal nome del vice-presidente di Bush jr. che preparò e fece votare la legge), in virtù del quale il fracking è esentato dal Clean Water Act, la legge Galli americana, che disciplina e restringe l’inquinamento idrico. È larga e determinate l’opposizione locale al fracking. Il fronte anti-energie fossili è anche aggressivo. “Gli azionisti di molte banche, incluse Bank of America, JPMorgan Chase e Wells Fargo”, poteva scrivere questo sito un mese fa, “hanno votato risoluzioni che impegnano a chiudere il credito a chi investe in combustibili fossili. E sono ora sotto pressione i grandi clienti liquidi delle banche, come Google, Apple o Salesforce, che sono impegnati in proprio a ridurre le emissioni nocive, a fare pressione in tal senso sulle banche”.  
D’altra parte, se la produzione di petrolio e gas naturale è ancora elevata nel 2020 e forse nel 2021, gli investimenti invece sono fermi. È anche vero, come sostiene Yergin in interventi successivi ala pubblicazione del libro, che la nuova amministrazione democratica di Biden non ha messo in discussione il Dick Cheney Bill, ma si è ritrovata tutti i bandi di nuove concessioni di ricerca deserti: l’energia tradizionale non è più un  business, appetibile.
Il saggio è più vero sottotraccia, per i rumori di fondo, che Yergin storico della guerra fredda evidentemente sa percepire, della gara Russia-Usa, in atto ormai da un secolo (ma già individuate due secoli fa, da Tocqueville e Custine….). Le cifre spiegano probabilmente molto dell’attuale guerra, che è della Russia contro l’Ucraina, ma non tanto in filigrana è poi degli Stati Uniti contro la Russia. Anche con l’energia, certo – e con i missili, i carri armati, i cannoni.  
Daniel Yergin, The new Map, Penguin, pp. 544, ril. € 15,50 su amazon

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