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Il senso della morte per Mozart
“La biografia di Mozart è segnata da due miti
estremi, il primo quello del bambino prodigio, il secondo quello del ‘Requiem’”.
Che non interessavano Mozart – “a entrambi il compositore non sembra partecipare”:
invenzioni commerciali, familiari. Quello del “Requiem” inventato dalla vedova
Constanze, per racimolare qualche soldo, e fu una trovata infine fortunata, nella
trascuratezza, per no dire la miseria, che aveva avvolto Mozart alla fine (funerale
solitario, sepoltura in una fossa comune), incontrando il gusto romantico. Ma
la morte viaggia con Mozart.
Un tema ricorrente è sbalzato in rilievo, che si
penserebbe poco mozartiano, posto che Mozart sia il tipo del felicione simpatico.
“Quando Mozart ci parla della morte”, e ce ne parla spesso, “lo fa sempre in
maniera imprevedibile, ma nello stesso tempo estremamente diretta”. In Singspiel
e non nelle opere, “preferendo chiarmarl0a in tedesco, «Tod», piuttosto che in
italiano… monosillabo cupo e in sé compiuto, come un punto nero finale”.
Una “scoperta” che si trascura, o si dà per scotata
– si canta, all’opera o nel popolare Singspiel, di tutto, della morte
compresa. Ma in Mozart è diverso. È della “morte liberatrice” l’aria “più
virtuosistica” del “Ratto del serraglio”. “La morte che salva e restituisce
pace” è anche di Pamina nel “Flauto magico”, a fronte del mutismo di Tamino e
Papageno – dunque anche nelle opere, ma in quelle in tedesco: la morte non c’è
nelle opere italiane (o meglio c’è, “Don Giovanni” etc,, ma non si canta, o invoca).
Un saggio breve (è il programma di sala per il
concerto di Santa Cecilia la settimana scorsa, “Mozart, non solo Requiem”), ma
ricostituente. Dà anche la ragione dell’apparente insensibilità alla morte della
madre a Parigi – altro periodo di stenti: è al contrario un eccesso di amorevolezza,
per il padre lontano.
Carla Moreni, Mozart, l’idea di un Requiem, Accademia
Nazionale di Santa Cecilia, pp. 57 € 5
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