Il tormento dell’“Espresso”
“L’Espresso” cambia padrone e natura, chiudendo il ricordo del
periodo forse più intenso di un paio di generazioni, tra gli anni 1950 e i
1970. Ma era una fine annunciata da tempo. Se ne poteva così scrivere l’8
settembre 2007, già quindici anni fa, sotto un titolo leggermente diverso, “Il
«tormentone » di Rinaldi”.
Giuseppe Leuzzi
“L’Espresso” cattura
l’antipolitica reiterando la vieta notizia – ma fino a ieri era tabù – che
politici, giudici, generali e prefetti, nonché i segretari di tutti costoro,
beneficiano a Roma di affitti irrisori, diventando con le cartolarizzazioni
proprietari di belle case a prezzi ridotti. È il genere del “tormentone”
giornalistico, per cui una cosa più se ne parla più è vera, che domina la
stampa da un ventennio.
È Claudio Rinaldi, l'ex direttore
dell'"Espresso" morto due mesi fa, che ha rinnovato il “tormentone”
nella forma che fa testo per i maggiori giornali: cinque articoli a numero
contro il personaggio sotto tiro, e uno di rammarico, svariando tra il
personale, le testimonianze, le indiscrezioni, le ricostruzioni, i pentimenti,
e uno-due “onnisti”, di psicologia, sociologia, scienza politica, etica,
economia, diritto. Cominciò all’“Europeo” negli anni Ottanta contro i
socialisti e Craxi, concludendo in un decennio felicemente la sua campagna. La
riprese negli anni Novanta, con successo più limitato, contro D’Alema, il
“Dalemone” mezzo berlusconiano. Ma altri obiettivi meno impegnativi ha colpito
tra i due (Sofri, Previti, etc.). A opera di un giornalista che si professava
demitiano, e anzi Ciriaco De Mita è andato a intervistare nella sua magione dorata
- si spera placcata - a Nusco in Irpinia.
È una forma di giornalismo non nata
con Rinaldi. Ma da lui gestita in modo tanto aggressivo che le vittime
finiscono per identificarsi nei personaggi e le situazioni da lui montate. I
socialisti non erano tanto corrotti quanto Rinaldi ogni settimana faceva
scrivere, né D’Alema è tanto impolitico e malpensante come Rinaldi l’ha fatto
descrivere in diecine di articoli. Ma alla fine i socialisti sono finiti tutti
corrotti, e D’Alema parla e si muove come Rinaldi l’ha voluto, come l’elefante
tra le cristallerie. Nel 1988, al primo arresto di Adriano Sofri, Rinaldi, che
gli era stato compagno e di cui Sofri diverrà collaboratore, guidò la campagna
di demonizzazione – memorabile un articolo in cui venivano trascritte le
telefonate con cui gli amici di Sofri si mobilitavano per la sua difesa, una
pubblicazione che in altro ambito si sarebbe detta intimidazione.
Nelle
determinazione con cui Rinaldi l’ha praticato il “tormentone” si dà però il
ruolo di giudicatura: una magistratura tanto di parte, sotto l’alibi del
giornalismo di denuncia, quanto insindacabile. Fino ad applicare a sproposito
il suo argomento principe, la “questione morale”. Il punto di forza di questo giornalismo è accusare il Nemico di turpitudine: corruzione, concussione,
mobbing. Per poterlo fare naturalmente ci vuole cuore pulito. Ma non è questo
il caso nel “tormentone”, che raramente è una prova documentata, più spesso si
costruisce, si “monta”, con i condizionali, le parole virgolettate del dico e non
dico, le insinuazioni, le forzature di titoli e sommari rispetto al testo, le
carte di cui non si dà la provenienza. Che possono anche venire da rivali
politici, imprenditori falliti, agenti doppi, informatori.
Un genere molto diverso dal
giornalismo di denuncia, nel quale c’è soprattutto ricerca, e dei documenti
esibiti si acclara la provenienza. Questa non è a sua volta un’insinuazione,
c’è una prova. Il giornalismo di denuncia è politico, ed è d’opposizione, per
definizione. In Italia l’opposizione non è facile perché, a parte le parentesi
berlusconiane, non ci sono mai governi di destra. Un giornalismo di denuncia in
Italia dovrebbe essere di destra, e questo non è il caso: solo un 10 per cento
delle copie vendute, e un 3-4 per cento dei telegiornali è di destra. È quindi
un tipo di giornalismo che, a parte la quota anti-Berlusconi, si esercita a
sinistra. Non è male. Ed è a sinistra che Rinaldi ha colpito, con Craxi, Sofri,
D’Alema. Ma l’obiettivo del giornalismo di denuncia è la verità storica e il
progresso sociale e civile. Mentre Rinaldi ha solo ottenuto di azzerare le
novità politiche che potevano insidiare la struttura di potere post-bellica,
attorno alla vecchia e nuova Dc – ora Prodi a sinistra e Berlusconi a destra.
Non c’è verità e non c’è progresso, ma il trionfo del vecchio - della politica
degli amici - a Milano, nelle banche, nelle Fondazioni ex bancarie, nelle
Autorità, nei grandi gruppi, Telecom, Eni, Enel, e perfino in Alitalia e
Sviluppo Italia.
Quanto a Berlusconi, d’altra parte, bisogna dire che è il
nemico di Carlo De Benedetti: sono troppi gli affari che gli ha soffiato, e
molto più lucida e trasparente la sua patina d’imprenditore di successo
(trasparente si può dire di Berlusconi solo per scherzo, ma al paragone con De
Benedetti è possibile: nessuno dei suoi dipendenti e dei suoi soci ci ha
rimesso, per quanto piccolo azionista). Alla fine, il problema dei “tormentoni”
alla Rinaldi è solo questo, il ben noto problema se la questione morale può
essere agitata da e per conto di De Benedetti. Infatti la novità del tormentone
case è perché “L’Espresso” lo cavalca ora, dopo averlo a lungo rimosso. Forse
per eliminare gli avversari scomodi all’asse democratico Prodi-Veltroni.
Oppure… Il solito chiacchiericcio, insomma, né informazione né politica, non
quelle "morali".
Con un proscritto d'obbligo, poiché il genere del
tormentone è legato ai dossier, e i dossier, segreti,
anonimi, sono di natura inaccettabile. Ogni numero sei pezzi contro la persona
presa di mira, fino alla sua distruzione, sono lo schema del tormentone. Che a
Rinaldi è riuscito con tutti, eccetto Cossiga. Contro il quale pure si è
esercitato per sette anni, 350 numeri, duemila articoli. E questo pone una
domanda: chi era Rinaldi? Chi erano le sue fonti. Contro Andreotti, viceversa,
altro beniamino delle informazioni riservate, non ci ha tentato.
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