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La Russia è com’era, imperiale e ignota
“Andavo in Russia per cercarvi argomenti
contro il governo rappresentativo: ne ritorno partigiano delle costituzioni”. Un
ultra, vittima della rivoluzione, ghigliottinato il nonno, comandante
militare emerito della rivoluzione stessa, e il padre, quando il figlio aveva
quattro mesi, ritorna dalla Russia vaccinato: “Questa disciplina da caserma
sostituita all’ordine della città, lo stato d’assedio divenuto lo stato normale
della società” gli rivelano la democrazia – novello Candido, il marchese viveva
nella democrazia e non lo sapeva. Riprese dopo l’invasione dell’Ucraina, queste
lettere, che all’uscita del volume si prestavano a una lettura in chiave di
guerra fredda, della Russia impero del male,
http://www.antiit.com/2015/11/che-fare-della-russia.html
presentano altri aspetti invece
interessanti. Non foss’altro perché non c’è altra opera che provi ad entrare
nel mondo russo, urbano e dello sterminato territorio, se non queste lettere immaginarie
di una viaggiatore molto dilettante e improvvisato, digiuno di politica e di scienza
politica, anche se le “Lettere”, di successo fulmineo e europeo, sono state messe
al pari con Tocqueville, “La democrazia in America”: un viaggiatore frettoloso,
che non prepara i viaggi se non con conoscenze occasionali (nel caso, ai bagni
di Kissingen, un Turgenev zio del futuro scrittore, e il diplomatico prussiano
Varnhagen von Ense, marito della celebrata Rahel, che intratteneva a Berlino il
più celebre salotto letterario, già amica personale di Custine, e sua consigliera
spirituale per corrispondenza per un lungo tratto), e le loro commendatizie, non
s’informa, non legge di storia, non impara la lingua, fa soggiorni brevi e
bruschi. Con lacune gravi, nel caso della Russia: niente storia, niente cultura
– di Puškin o Lermontov nemmeno il nome. Niente slavofilia né panslavismo,
niente fede religiosa, misticismo, devozione fanatica.
Ma c’è abbastanza. Nella sintesi che ne
fa il curatore, Pierre Nora, che l’opera recuperò negli anni 1970, in chiave
antisovietica: “l’oppressione mascherata da amore dell’ordine”, “il segreto che
presiede a tutto”, un “fanatismo d’obbedienza”, la fiducia nel padrone (c’era ancora
la servitù della gleba), la menzogna generalizzata “perché dire la verità sarebbe
sconvolgere lo Stato”, la manipolazione permanente della storia, la spionite
permanete e la mistificazione, l’ipersensibilità allo sguardo esterno - “il
regime non resisterebbe vent’anni alla libera comunicazione con l’Occidente”
(il Turgenev informatore del marchese de Custine era un diplomatico russo
incaricato dallo zar Nicola I di ricercare negli archivi europei i documenti
relativi alla Russia, in particolare quelli che si potevano rivelare
compromettenti). E “un’ambizione sfrenata e immensa”, “legge
sovrana di questa nazione, essenzialmente conquistatrice”. Di un imperialismo
“che non può germinare che nell’animo degli oppressi e nutrirsi che della
disgrazia di una nazione intera, la quale, avida a forza di privazioni, espia d’anticipo
in sé, con una sottomissione avvilente, la speranza di esercitare la tirannia
in casa d’altri”.
Troppo, ma nel verso giusto. La Russia è
condannata a ripetere cicli sempre eguali? Violenti, perdenti, e tuttavia
sempre ripresi. Oggi nel nome dell’orgoglio nazionale. Che si poteva camuffare
da attacco preventivo contro una minaccia Nato. Oppure da misura coercitiva per
l’applicazione degli accordi di Minsk. E invece no: solo la forza conta, non il
diritto. La rivoluzione di Ottobre rimette in moti i vecchi automatismi
autoritari. La nuova Russia di Putin, democratica, globalista e tutto, si
strugge di non potersi creare un altro impero, per di più etnico, di russi
etnici sparsi per l’Europa.
Resta vera l’analisi-giudizio di Héléne
Carrère d’Encausse, massima russista, oggi al vertice dell’Académie Française, che
quest’opera “testimonia il difficile incontro tra la Russia tesa verso l’Europa
e l’Europa, che non seppe mai come trattare e comprendere la Russia”. E non ha
imparato nei quasi due secoli che sono passati dal 1839. È il problema più
generale degli slavi in Europa, da Trieste a Vladivostock, di un mondo forse
superiore numericamente, se non per dominio della storia europea, al resto dell’Europa,
sassone e latino, unificato dal diritto romano. Una omissione (trascuratezza,
finzione) non più possibile nel caso della Russia sterminata, territorialmente
e come risorse naturali, partner indispensabile della cosiddetta “transizione”
ecologica, se si intende sul serio e non come politica commerciale.
Astolphe
de Custine, Lettere dalla Russia, Adelphi, pp. 363 € 20
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