sabato 21 maggio 2022

La Russia è com’era, imperiale e ignota

“Andavo in Russia per cercarvi argomenti contro il governo rappresentativo: ne ritorno partigiano delle costituzioni”. Un ultra, vittima della rivoluzione, ghigliottinato il nonno, comandante militare emerito della rivoluzione stessa, e il padre, quando il figlio aveva quattro mesi, ritorna dalla Russia vaccinato: “Questa disciplina da caserma sostituita all’ordine della città, lo stato d’assedio divenuto lo stato normale della società” gli rivelano la democrazia – novello Candido, il marchese viveva nella democrazia e non lo sapeva. Riprese dopo l’invasione dell’Ucraina, queste lettere, che all’uscita del volume si prestavano a una lettura in chiave di guerra fredda, della Russia impero del male,
http://www.antiit.com/2015/11/che-fare-della-russia.html
presentano altri aspetti invece interessanti. Non foss’altro perché non c’è altra opera che provi ad entrare nel mondo russo, urbano e dello sterminato territorio, se non queste lettere immaginarie di una viaggiatore molto dilettante e improvvisato, digiuno di politica e di scienza politica, anche se le “Lettere”, di successo fulmineo e europeo, sono state messe al pari con Tocqueville, “La democrazia in America”: un viaggiatore frettoloso, che non prepara i viaggi se non con conoscenze occasionali (nel caso, ai bagni di Kissingen, un Turgenev zio del futuro scrittore, e il diplomatico prussiano Varnhagen von Ense, marito della celebrata Rahel, che intratteneva a Berlino il più celebre salotto letterario, già amica personale di Custine, e sua consigliera spirituale per corrispondenza per un lungo tratto), e le loro commendatizie, non s’informa, non legge di storia, non impara la lingua, fa soggiorni brevi e bruschi. Con lacune gravi, nel caso della Russia: niente storia, niente cultura – di Puškin o Lermontov nemmeno il nome. Niente slavofilia né panslavismo, niente fede religiosa, misticismo, devozione fanatica.
Ma c’è abbastanza. Nella sintesi che ne fa il curatore, Pierre Nora, che l’opera recuperò negli anni 1970, in chiave antisovietica: “l’oppressione mascherata da amore dell’ordine”, “il segreto che presiede a tutto”, un “fanatismo d’obbedienza”, la fiducia nel padrone (c’era ancora la servitù della gleba), la menzogna generalizzata “perché dire la verità sarebbe sconvolgere lo Stato”, la manipolazione permanente della storia, la spionite permanete e la mistificazione, l’ipersensibilità allo sguardo esterno - “il regime non resisterebbe vent’anni alla libera comunicazione con l’Occidente” (il Turgenev informatore del marchese de Custine era un diplomatico russo incaricato dallo zar Nicola I di ricercare negli archivi europei i documenti relativi alla Russia, in particolare quelli che si potevano rivelare compromettenti). E “un’ambizione sfrenata e immensa”, “legge sovrana di questa nazione, essenzialmente conquistatrice”. Di un imperialismo “che non può germinare che nell’animo degli oppressi e nutrirsi che della disgrazia di una nazione intera, la quale, avida a forza di privazioni, espia d’anticipo in sé, con una sottomissione avvilente, la speranza di esercitare la tirannia in casa d’altri”.  
Troppo, ma nel verso giusto. La Russia è condannata a ripetere cicli sempre eguali? Violenti, perdenti, e tuttavia sempre ripresi. Oggi nel nome dell’orgoglio nazionale. Che si poteva camuffare da attacco preventivo contro una minaccia Nato. Oppure da misura coercitiva per l’applicazione degli accordi di Minsk. E invece no: solo la forza conta, non il diritto. La rivoluzione di Ottobre rimette in moti i vecchi automatismi autoritari. La nuova Russia di Putin, democratica, globalista e tutto, si strugge di non potersi creare un altro impero, per di più etnico, di russi etnici sparsi per l’Europa.  
Resta vera l’analisi-giudizio di Héléne Carrère d’Encausse, massima russista, oggi al vertice dell’Académie Française, che quest’opera “testimonia il difficile incontro tra la Russia tesa verso l’Europa e l’Europa, che non seppe mai come trattare e comprendere la Russia”. E non ha imparato nei quasi due secoli che sono passati dal 1839. È il problema più generale degli slavi in Europa, da Trieste a Vladivostock, di un mondo forse superiore numericamente, se non per dominio della storia europea, al resto dell’Europa, sassone e latino, unificato dal diritto romano. Una omissione (trascuratezza, finzione) non più possibile nel caso della Russia sterminata, territorialmente e come risorse naturali, partner indispensabile della cosiddetta “transizione” ecologica, se si intende sul serio e non come politica commerciale.
Astolphe de Custine, Lettere dalla Russia, Adelphi, pp. 363 € 20

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