Alla
fine l’autrice stessa spiega perché la sua denuncia, radicale e insistita, non
è efficace – Putin è pur sempre un presidente eletto. “Ho riflettuto a lungo
perché ce l’ho tanto con Putin”, si chiede nell’ultimo capitolo, “Putin II”,
all’indomani della prima rielezione, nel 2004: “Che cosa me lo fa detestare al
punto da dedicargli un libro?”. E il lettore sa dove collocare il disagio che
lo ha accompagnato per tutta la lettura: è quello dei libri che Travaglio
dedicava a Berlusconi, un bersaglio: sì, ma? Tutto il male che si vuole, ma
perché questo uomo è eletto a capo della Russia? I motivi evidentemente ci
sono, ma noi non li sappiamo – a parte la Guerra in Cecenia, la “seconda guerra”
in Cecenia, che Politkovskaja combatte schieratissima, contro Putin e
l’esercito russo.
Sapere
del sistema utin, se c’è, sarebbe stato tanto più importante in quanto questo è
un potere che non esita ad assassinare. Sono troppi i delitti impuniti, e
nemmeno indagati, a cominciare da quello della stessa Politkovskaja. Delitti
cioè che direttamente o indirettamente fanno capo al potere: come può questo
avvenire in uno Stato che pure ha una polizia, una magistratura, un Parlamento,
e tiene periodiche votazioni, a quanto pare senza brogli.
L’essenziale
resta non detto. Mentre delle cose viste la giornalista, assassinata subito
dopo avere completato questo libro, sapeva e dice molto. L’inefficienza, per
esempio, dell’esercito. Tanta quanta l’autoreferenza. Un esercito intoccabile,
che spara nel mucchio, non sa trattare con i civili, distrugge a nessun fine
militare, tattico o strategico. La pervasività dei vantati-temuti servizi di intelligence: “Sono
ormai più di seimila gli ex uomini del Kgb\Fsb con incarichi di potere ai piani
alti dello Stato”. E la loro inefficienza, specie nei confronti del terrorismo
– salvo poi sparare nel mucchio, uccidendo gli ostaggi. Molto è anche spiegato
dello stato indigente del potere giudiziario, compreso l’apparato repressivo:
le riforme costituzionali post-1991 hanno in qualche modo creato un mercato, ma
non una legalità. Vivace è la ridicola sottomissione della chiesa ortodossa al
potere politico - con Medvedev, allora capo dell’ufficio residenziale, poi
presidente scaldapoltrona per Putin, che “si faceva il segno della croce
portando la mano alla testa e ai genitali”.
Di
Putin purtroppo sappiamo alla fine tutto quello che sapevamo. Che era un agente
del Kgb ed è diventato il presidente (quasi) a vita della Russia. “Un tenente
colonnello che non è riuscito a diventare colonello”, lo dice Politkovskaja, e
questo dà il tono del libro, un’invettiva – questo personaggio così limitato
non è il presidente (quasi) a vita della Russia? A metà libro ne sembra anche
il salvatore, dopo un decennio, post-1991, di fame, letteralmente, stipendi pubblici
non pagati, scuole chiuse, mafie libere per le strade, infrequentabili tanto piene di siringhe.
La
scoperta della Russia si deve ancora fare.
Anna
Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi, pp. 375 € 14
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