sabato 7 maggio 2022

La tempesta di Serra, dolce

Una “Tempesta” da camera. In un angolo del grande palcoscenico, sotto un cono di luce, in costumi diafani e toni sommessi, la tragicommedia del potere Alessandro Serra risolve in funzione battesimale, rigenerativa, dalla violenza e l’odio, nel perdono. Un adattamento dello stesso Serra, con parole e tempi centrali tratti da Montaigne, riflessivi. Giusto il monologo di Gonzalo, il consigliere onesto di Prospero, il duca mago di Milano esiliato nell’isola, sulla docietà ideale – beni in comune, violenza esclusa, potere disciolto, anche nel raporto con la natura.
Una “Tempesta” filosofica. Ma sulla funzione del teatro, più che sui destini umani – “un inno al teatro fatto con il teatro” lo dice Serra. Un mondo di pura fantasia, il teatro, eppure tanto reale, per la fisicità della parola, del gesto, le luci, le scene, per la magia che accende illusioni vive, pur tra le flebili voci. La “Tempesta” canonica del resto termina col monologo di Prospero, per chiedere nient’altro che il pubblico liberi gli attori.
Le voci Serra fa qui flebilissime, in diminuendo – come la scena, in dimmering. Eccetto che per i cattivoni, Antonio fratello di Prospero e il re di Napoli, e per la comparsate “napoletane”  di Stefano e Trinculo, i marinai ubriaconi. E per Calibano, eretto a contrasto gigantesco, scuro, tonitruante – una prova di forza e di malleabilità di Jared McNeill. Con esibizione anche nuda dei tre, in movimento e in gestualità inequivoche, come è di chi vuole “fare le scarpe” all’altro – una primissima forse in teatro.   
Una “Tempesta” di Serra, regia, scene, luci, suoni, costumi. Cui lavora almeno dal 2015, in vari cantieri teatrali. Shakespeare prendendo a pretesto, da “editare” (riscrivere, interpolare, adattare). Sul solco del precedente Shakespeare dello stesso regista-autore, il “Macbettu” in sardo, “ispirato a Shakespeare”.
William Shakespeare, La tempesta, Teatro Argentina Roma

Nessun commento:

Posta un commento