Letture - 491
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Annibale - Un solo suo busto
si è conservato – ora al museo Archeologico di Napoli. Lo ha recuperato e messo
in valore Arturo Osio, in qualità di creatore e direttore generale nel 1929 della
banca Bnl (inizialmente Bnlc, banca
nazionale del lavoro e della cooperazione, Osio veniva dalle cooperative
bianche), che molto spendeva in opere di arte.
Bamboccioni - Non sono una
novità né un’eccezione, sono parte della tradizione italiana, della famiglia.
Pirandello manteneva i tre figli adulti (di Lietta riuscirà a “liberarsi” nel
2026, quando lei aveva 29 anni, accomunandola ai contrasti col marito di lei,
il diplomatico cileno Manuel Aguirre, che accampava “eccessive pretese “dotali)
e se ne lamentava. Da Berlino scriveva, il 19 marzo 1929, dei due figli maschi,
Stefano e Fausto: “Non possono pretendere che io, a sessantadue anni, seguiti a
lavorare giorno per giorno per mantenerli come quando erano bambini e io avevo
trent’anni: trent’anni, ora, li hanno loro”.
Anche D ‘Annunzio, per quanto sempre
indebitato, mantenne i quattro figli, Ugo Veniero, Gabriellino, Mario e Renata,
fino ai quasi quarant’anni. In questo ben organizzato, con assegni mensili –
che chiamava, irritato, “mestruali”.
Consumismo – Pasolini lo
appaia al nazismo. In più interventi, ma specificatamente alla presentazione a
Stoccolma di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”: “In questo film il sesso non è
altro che l’allegoria, la metafora della mercificazione dei corpi attuata dal
potere. Penso che il consumismo manipoli e violenti i corpi né più né meno che
il nazismo. Il mio film rappresenta questa coincidenza sinistra tra consumismo
e nazismo”.
Ma il consumismo è
anche anarchico: “In sostanza questo film è un film sulla vera anarchia, che
sarebbe l’anarchia del potere”.
Dialetto – “È solo ideologia cercare di scavare nei dialetti chissà
quali tesori ancestrali e originari”, sbotta Enzensberger (“L’Espresso”, 27
ottobre 2005): la giornalaia all’angolo parla il dialetto di preferenza perché
“nel dialetto si sente bene, come a casa propria, punto”.
Dittatori
artisti – Hitler, Mussolini e Stalin avevano grande concetto
dell’arte. È la scoperta di Tzvetan Todorov (“Avanguardie artistiche e regimi
totalitari”, una conferenza tenuta all’università di Siena il 23 novembre 2006,
su “la Repubblica” del 25 novembre). Di Hitler si sa, le ambizioni di pittore,
la devozione a Wagner, dei cui scritti aveva mandato a memoria interi passi, e
affermava di avere assistito a trenta o quaranta rappresentazioni di “Tristano
e Isotta”. Di Mussolini Todorov ricorda che si di definiva nel 1922 “lo
scultore della nazione italiana” (“Il popolo italiano è una massa preziosa.
Farne un’opera d’arte è ancora possibile”). Deluso poi, naturalmente, perché
l’Italia non era di marmo, a Ciano confidando: “Michelangelo ha avuto bisogno del
marmo per le sue statue. Se avesse avuto a disposizione soltanto dell’argilla,
non sarebbe stato altro che un ceramista”. Stalin era un che leggeva tutto, e
telefonava ai poeti, che chiamava “gli ingegneri dell’animo umano”, seppure per
rimproverarli. Li fucilava (Meyerchold) o suicidava (Makakovskij), o li mandava
in Siberia o al manicomio perché li teneva in grande conto.
Leggere
– Dopo la sfida calcistica a Parma il 16 marzo 1975
fra le troupes dei film di Bertolucci (“Novecento”) e di Pasolini (“Salò”),
perduta da Pasolini per 5-2, “nei giorni seguenti”, spiega Paolo Bonacelli, che
lavorava in “Salò”, nel documentario di Di Nuzzo e Scillitani “Centoventi
contro Novecento. Pasolini e il calcio”, “Pasolini non la smetteva di manifestare
il suo disprezzo per ‘Ultimo tango a Parigi’, continuando a ripetere di Bertolucci:
«Quello non legge, non legge più niente»”. Dodici anni dopo avere confidato a
Arbasino: “Non leggo più…. Anche al cinema non ci vado mai. È finita, è finita”.
Mishima
– Si eviscerò nel 1970 per protesta contro la
costituzione pacifista del Giappone. Ora sarebbe stato felice, che il premier Kishida
è pronto alla guerra all’estero, e alla Bomba.
Un scrittore
delicato e militarista? È vero che la poesia comincia con la guerra, a Troia.
Pavese – Pasolini lo disprezzava. In un’intervista alla Rai nel 1972, che la
Rai decise di non mandare in onda, lo diceva “un letterato medio, o addirittura
mediocre”, amato dalla critica solo perché “politicamente corretto”.
Pirandello – Fu fascista
convinto fino alla fine, benché il regime lo bistrattasse, e Mussolini non lo
avesse in simpatia, convinto che “la massa non ha una propria volontà”. Accademico
d’Italia fu l’unica concessione che ebbe dal regime. Per il Nobel del 1934 la
stampa ebbe l’ordine di dare il minimo risalto, malgrado il nazionalismo
imperante. A Roma gli fu imposta una messa in scena celebrativa dell’aborrito D’Annunzio,
“La figlia di Iorio” al teatro Argentina, con costumi
e scene di De Chirico. Mussolini in persona, dopo avere assistito alla prima
romana della “Favola del figlio cambiato”, con musica di Malipiero al teatro
Reale dell’Opera (la prima mondiale si era avuta a Brunswick due mesi prima), ne
ordinò il sequestro – con la scusa che l’opera è ambientata in un bordello. Ma lui da New York scrive al figlio Fausto ancora nel
1935: “Ho visto una recente fotografia del Duce nell’atto di parlare a Eboli:
m’è parso il Davide del Bernini”.
San Sebastiano – È passato a
icona gay per i quadri di Guido Reni, ben cinque. Dove “le frecce si addentrano
nel vivo della giovane carne polposa e fragrante, e stanno per consumare il
corpo dall’interno con fiamme di strazio e d’estasi suprema”, ricorda nelle
“Confessioni di una maschera” il protagonista autobiografico di Mishima. Che dichiarava
di avere scoperto la propria omosessualità sul san Sebastiano del Reni, uno dei
cinque - e prima di suicidarsi, nel 1970, si fece fotografare da san Sebastiano,
il torso nudo trafitto da frecce, cosparso da rivoli di sangue. Di suo era uno
sfigato, si direbbe oggi: originario di Narbonne, guardia pretoriana a Roma
sotto Diocleziano, condannato al martirio con le frecce, fu salvato da Irene,
futura santa. Condannato una seconda volta, fu finito a colpi di bastone.
Protettore di arcieri, tappezzieri, e vigili urbani, per un tempo invocato
anche contro la peste - poi sostituito da san Rocco, santa Rita e sant’Antonio
Abate.
Il primo accostamento del santo sessuale lo
fa Oscar Wilde, ne “La tomba di Keats”, in cui evoca, senza citare il pittore,
una immagine di Guido Reni. O D’Annunzio parigino, col “Martyre de Saint-Sébastien”
– dove per la prima affidò la parte del santo a Ida Rubinstein, colpita quindi
più scopertamente, in quanto donna, da frecce come simboli fallici, che implora:
“Ancora! Ancora! Ancora! Amore Eterno… Colui che più a fondo mi ferisce, più a
fondo mi ama”.
letterautore@antiit.eu
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