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L’inflazione importata
Si discute nel board della Banca
centrale europea sull’aumento del tasso di sconto, sulla misura dell’aumento.
Finora evitato in attesa delle decisioni americane, e anche delle riserve di membri
autorevoli dell’esecutivo, tra essi l’italiano Panetta.
Il punto di partenza è il calcolo di Fabio
Panetta, l’ex vice-direttore generale della Banca d’Italia ora alla Bce, che
stima in 440 miliardi di euro, in ragione di anno, la perdita di potere
d’acquisto dell’Eurozona per effetto dell’aumento dei prezzi del gas e del
petrolio. Una “perdita” pari al 3,5 per cento del pil, prima della guerra, tra
fine 2020 e fine 2021.
Sulla base di questo calcolo una divaricazione
è emersa nel direttivo. La rappresentante tedesca Isabel Schnabel mette
l’accento sull’aumento dei costi di produzione: nel 2021 lo calcola nel 30 per cento,
“un livello mai visto nemmeno lontanamente in passato” – contro il 14 per
cento, per esempio, negli Stati Uniti.
Panetta obietta che si tratta soprattutto
di “inflazione energetica importata”. Sulla quale comunque la politica monetaria
(la Bce) può incidere poco. E vorrebbe cautela nell’aumento dei tassi. Schnabel
non contesta l’origine dell’inflazione, ma sostiene che devono essere i governi
a ridurre col fisco o moderare la domanda, mentre la Bce deve darsi un orizzonte
più ampio, di garanzia dei redditi, con la stabilità dei prezzi – cioè con l’aumento
dei tassi.
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