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Non ci sono rimaste che le stelle
Il presente è squallore, il futuro lunare. Yuri
è un ragazzo abbandonato del corviale parigino intitolato a Gagarin perché
costruito al tempo del suo primo volo orbitale e inaugurato in occasione della
sua visita a Parigi. Abbandonato dal padre, poi dalla madre, poi dalla dona che
l’ha accudito, lavora prima a salvare il complesso dalla demolizione, con ingegnose
applicazioni da adulto bambino. Poi la messa in orbita della prima stazione
spaziale, russa, lo porta a costruirsi, rimasto solo, una sua cabina
all’interno del mastodonte abbandonato, dove coltiva ortaggi e sogni.
Un poema della solitudine. A Yuri si affianca
una ragazzina rom, semplice e indomabile (incredibile interpretazione di
un’attrice già trentenne, Lina Khoudry), e a tratti altri dimenticati della
terra. Poco racconto e poco dialogo, ma pensato e anzi rimuginato – i due
registi vengono detti documentaristi, in realtà hanno debuttato nel 2015 con un
corto, già intitolato “Gagarine”, che è una pre-sintesi del film, con altri
attori: Yuri non vuole lasciare il complesso, dove pure è cresciuto e vive
solo, è la sua casa, è la sua piattaforma dei sogni.
Il film aggiunge in didascalia molte testimonianze
di vecchi abitanti dei casermoni, che, pur avendo provato e ottenuto di uscirne,
dopo venti e trent’anni, tuttavia li dicono in qualche modo formativi. La casa
è ancora la casa – o è già parte della nostalgia, come la famiglia, i cugini, i
fratelli, il paese, il quartiere. Nello sradicamento, corporale e mentale.
Fanny Liatard-Jérémy Trouilh, Gagarine -
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