mercoledì 4 maggio 2022

Pasolini anacoreta esibizionista

Una raccolta non remota, del 1995, dell’effimera rivista “Liberal” (Ferdinando Adornato), che sembra però venire da un mondo altro, di linguaggio insignificante. Se non per un Pasolini che si esibisce sempre più personaggio mediatico, in posa, e sempre meno logico, razionale, o realmente appassionato. Odiatore del mondo, già fin dai primi vagiti, nel 1955, che potrebbe essere anche una cosa interessante, ma da maestro di scuola, pedante, insistente, respingente - è anche contro la “scuola di Barbiana”. E non per trauma o carattere, che al contrario tutti assicurano mite.
Commuove retrospettivamente, per l’emozione che proietta la sua fine, come un eccesso di realtà che ricopre a valanga le tante chiacchiere, che però restano zavorra. I giovani sono morti, il mondo è finito, è il neo capitalismo, la civiltà dei consumi, la borghesia. La borghesia a ogni riga. E “io voto comunista ma non sono comunista”. Tutto lecito e anche interessante (vita e convinzioni d’autore), ma ripetuto, per anni e decenni, un tema insonoro e senza variazioni, e segno di una disperazione che non è disperata, per niente, è come a comando e sa di artificioso. Programmatico – “mi si nota di più se…”. Stucchevole.
Si parte col rifiuto delle interviste, dell’autore più intervistato al mondo (al mondo? probabile, impossibile che ce ne sia un altro così). “La cultura umanistica è tradizionale, tipica di una società pre-industriale” – come se ci fosse “tecnologia” senza cultura umanistica. E la crisi a ogni passo, della cultura, la letteratura, la politica, la società. Salvo celebrare con Giovanni XXIII, col papa, “la grande esperienza laica e democratica della borghesia”. Il linguaggio ripetitivo, quasi burocratico, di una subcultura che ha dominato l’Italia per poi dissolversi senza residui, se non le rovine: Pasolini si direbbe qui il poeta dalla lingua di legno.
Qualche verità non manca. “La persona che ha maggiormente influito sulla mia forza creatrice è da identificarsi sicuramente con mia madre”. “Marx ha detto delle cose tremende. Per esempio in materia religiosa. Tutto quello che Marx ha detto della religione è da prendere e da buttar via, è frutto di una colossale ignoranza”. Il suo teatro in versi spiega originato dalla lettura dei “Dialoghi” di Platone. Sa la verità, per quanto incredibile, delle ragazze di periferia, sedici-diciassettenni, nel 1972, prima del delitto del Circeo, ben cinqunt’anni prima dei festini su instagram e della droga dello stupro. Libertino, anche se non del tutto: “Penso che scandalizzare è un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista”.
Ma confuso, moralista censore del moralismo. Marx è “spiritualista” e non materialista. “Un piccolo paese non può dare un grande scrittore” – “l’Italia è una piccola nazione, meschina. Lo ripeto: non può dare un grande libro”. “Non leggo più, come Fellini” - nel 1965, o 1966. “Non vado mai al cinema. Trovo il cinema brutto e noioso”.  Con quell’essere religioso, anzi cattolico, anzi sacerdotale, contro il “materialismo ateo e disumanizzante che è alla base del neo capitalismo e che è la sintesi di tutto ciò che è condannato dal Vangelo”. E naturalmente col rifiuto – tattico, strategico?  – della religione. “Il cattolicesimo non ha mai contato a Roma”.  Fa cinema, invece di scrivere romanzi, per “esprimere la realtà con la realtà” – se non c’è niente di più artificioso del cinema. Marxista a ogni riga e, con Fallaci nel 1966, autore già celebrato, ammiratore degli americani, incondizionato. Di estremismo verbale, in ogni circostanza.
Non lusinghiero per Pasolini, il ritratto, involontario, di un’epoca. O forse solo di Pasolini, non si ritrova tanta boria, seppure nella stessa lingua di legno, nei coetanei e compagni di partito preso Calvino, Fortini, Zanzotto, lo stesso Moravia - che, dice Pasolini, lo tiene informato delle questioni letterarie. Un anacoreta a tratti emerge, ma non disperso nella tebaide: al centro della piazza, inamovibile, concionatore.
Pier Paolo Pasolini,
Interviste corsare

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