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Stalingrado, manuale di sopravvivenza per ucraini
Si potrebbe dire una storia a futura memoria. Il titolo originale è “Per una giusta
causa”. E la morale è quella del mito di Anteo, dell’anti-Anteo, “il gigante
del mito che diveniva più forte ogni volta che il suo piede toccava la terra”:
“A questo racconto bisogna aggiungere oggi quello di un anti-Anteo, un falso
gigante che si oppone a Anteo. Quando questo falso gigante marcia su una terra
da lui conquistata, ogni suo passo mina le sue forze invece di accrescerle”,
etc. etc. – “invece che prendere energia dalla terra, è questa terra ostile che
lo spoglia del suo vigore, e alla fine crolla, lo si abbatte”.
Febbraio 1942, Hitler e Mussolini a Salisburgo:
la guerra è vinta (non ci si pensa…), dall’Asse – l’assedio a Stalingrado sarà
opera che dell’Ottava armata italiana. Con le “collaboratrici volenterose”
Ungheria, Romania, Bulgaria e Finlandia (sic!). Mezza Europa è occupata, è
stato distrutto l’assetto di Versailles di venti anni prima, con le neonate
Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia, e l’occupazione. Hitler è sempre
impressionato da Mussolini, le cui divise sono impeccabili – al primo incontro
a Venezia Hitler è sceso in un ridicolo impermeabile. La cartolina-precetto
arriva a un povero boscaiolo russo, con famiglia, che subito parte. Attorno a
una grande famiglia – borghese, di donne – si forma un reticolo di varie forme
di resistenza, delle donne stesse e dei loro mariti e figli, in vari ambienti,
a Stalingrado e altrove – Stalingrado ospita sfollati e progetta di sfollare.
Mai eroicizzati, la guerra è brutta, ma credenti e vincenti.
Un romanzo che si vuole corale, tolstojano. Con
la stessa fede nella virtù della resistenza, che è antibellicista – non si
vuole eroica. E una scrittura che si adatta ai diversi ambienti: il giornalista
Grossman, al debutto come romanziere, maneggia con arte il mestiere – in un cameo si rappresenta, a un briefing militare,
come Bolokin, una specie di Paolo Rumiz, un inviato che si informa e che
capisce. Una lunga preparazione, nella Russia sotto il tiro degli aerei e dei
blindati tedeschi, fino a Mosca, e l’assedio che infine si materializza, con
tutto il seguito di orrori e sacrifici. Come nella guerra in corsa, ora a parti
invertite - assalitore è la Russia.
L’ambizione è di un “Guerra e pace” di Hitler,
dopo quello di Napoleone. Ma è un romanzo rifatto tre volte, su intervento
della censura, e si avverte: il pathos cresce con la narrazione, lenta, larga,
ma non prende – rifare mille pagine non è agevole. Le edizioni con
“significativi cambiamenti” sarebbero state peraltro undici – di cui la nona,
spiegano i curatori, ha dovuto ampliare la parte di Stalin, espungere un eroe
ebreo, o cambiargli i connotati, e così via. Episodico: molti personaggi,
inizialmente seguiti in dettaglio, giorno dopo giorno, ora dopo ora, sono
abbandonati per via. È sempre stato difficile scrivere in Russia da un secolo,
per una ragione o per un’altra, negli anni di Grossman in particolare.
Resta come monumento sovietico, il tentativo di
un “Guerra e pace” sovietico. Pieno di miniere, fabbriche, cantieri, piani
quinquennali, operai filosofi e contromastri artisti, con più carbone, più
acciaio, e di migliore qualità, più cannoni e carri armati, più aerei. Dappertutto
commissari politici, rispettati e perfino amati: il controllo è stretto e
minuto, la propaganda è diffusa. Le donne sono in genere robuste e anche eroiche,
negli ospedali, gli orfanotrofi, le case in coabitazione. I capi caseggiato competenti
e collaborativi. Ci sono, ottimi, i
ritratti dei grandi generali della difesa, Emerenko, Čuikov, Rodimtsev,
colonnello generale, a 36 anni.
Ottima anche, naturalmente, una lunga
digressione sulla Germania in guerra, ai §§ 33-36 della Terza Parte. E una
riflessione con molti spunti di verità su Hitler nella Seconda Parte, §§ 22-30.
Qui col ridimensionamento, finalmente, di Rommel, sbruffone vanesio, “la cui
popolarità era inversamente proporzionale alle sue conoscenze, alla sua cultura
militare, alla sua serietà” - lui come Richtofen, il comandante della
Luftwaffe, “dei parvenu, incolti, eroi di un giorno, uomini dalla
carriera politica facile, sbruffoni viziati da vittorie facili”. Ci sono anche,
in un paio di occasioni, i corpi di armata italiani. “Stalingrado”, la difesa a
oltranza, è preannunciata in piena estate, ad agosto, dal contrattacco russo
sul Don, attraversato “schiacciando la divisione italiana che copriva il fianco
destro allungato dell’armata tedesca”.
Una edizione sfortunata? Da tempo attesa, infine
realizzata, ma proposta nel momento sbagliato – aprile? Oggi sembra oggi, a
parti invertite, per “la verità semplice delle prime ore di guerra”: dei tanti
“che trovarono la forza, il coraggio, la fede e la calma per affrontare un
nemico più potente, trovando questa forza nel loro animo, il loro senso del
dovere, la loro esperienza, le loro conoscenze, la loro volontà e il loro
spirito, la loro fedeltà e il loro amore per la patria, il popolo, la libertà”.
Con l’Ucraina, allora, anche al centro: il blocco dell’offensiva tedesca, a
partire dal novembre 1941, che poi deciderà la guerra, vede lo stato maggiore
russo a Voronez, alla frontiera con l’Ucraina, con “molti ufficiali originari
di Kiev, di Kharkov, di Dnieprpropetrosk”. Novikov, il colonnello teorico e eroico della difesa, è “originario del
Donbass”. Il Donbass è parte integrante della difesa russa, come gli Urali.
Grossman è un ebreo russo nato e cresciuto in Ucraina.
L’evoluzione della guerra fino a Stalingrado in
un anno è quella di oggi in Ucraina, a capo di tre mesi di guerra, ma con i
russi nel ruolo dei tedeschi. E allora come oggi una verità, sempre a parti
invertite, la dice il generale Eremenko, lo zoppo che comanda Stalingrado: i
soldati giovani? “troppo impulsivi”, i vecchi? “non più, il vecchio pensa a
casa …”, “il miglior soldato è il soldato nella forza dell’età… La guerra è un
lavoro”.
Oggi tutti si accusano di essere Hitler, e forse
non c’è Hitler in campo. Ma la lettura si fa disagevole. Per la parte onesta –
libera - della narrazione.
In altre edizioni, francese, inglese, annotate
da altri curatori, subito dopo l’anti-Anteo viene ricordato: “In Russia,
passarono dal lato dei tedeschi alcuni di quelli che avevano sofferto del
potere sovietico in altri territori, specialmente in Ucraina e nei paesi
baltici, la collaborazione massiccia della popolazione con i tedeschi era
motivata dai sentimenti antirussi e dalla speranza di riottenere
l’indipendenza”.
Con qualche riferimento sbagliato. P.es.
Tjutchev al posto di Fet nelle considerazioni sulla Russia al § 34 della prima
parte.
Vasilij Grossman, Stalingrado, Adelphi,
pp. 883, ill. € 28
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