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C’era una volta l’Italia
Pomicino,
il “Geronimo” di molte cronache politiche del “Giornale” di Feltri e Berlusconi,
già ministro del Bilancio negli anni 1990, fedelissimo di Andreotti, ci ha
preso gusto. Dopo “Strettamente riservato” e dopo “La Repubblica delle giovani
marmotte”. A smantellare la Seconda Repubblica - o Terza, o Quarta che si
voglia, tanto non si sa che cosa sia. “Controstoria della seconda Repubblica” è
il sottotitolo. Con una ricetta semplice: dice quello che i secondi
repubblicani non dicono, ma che tutti hanno visto e vedono. Il mercimonio delle
banche e aziende pubbliche, spezzettate e svendute, lo stato pietoso dei
servizi nel mercato libero, a vent’anni o trenta dalle privatizzazioni, al
telefono, nelle assicurazioni, in banca. In un’economia allo sbando: ogni anno
perde posizioni, nel mercato mondiale e in quello europeo. Senza investimenti,
e quindi non più competitiva - la produttività stagnante è il segno della
Seconda Repubblica, l’Italia segna il passo da venticinque anni buoni. Con una
disoccupazione reale enorme: l’Italia è il paese europeo con il più basso tasso
di occupazione (persone al lavoro rispetto al totale della popolazione), dieci
punti sotto la media continentale – era la quinta o quarta economia mondiale
prima del colpo di stato di Di Pietro, Borrelli&Scalfaro. Sotto un debito
pubblico triplicato rispetto al 1991, a prima del diluvio.
Un po’ questo terzo libro
morde poco, rispetto ai primi due. Dove c’era la scena in cui Borrelli fa
blocco con i suoi armigeri, “i giornalisti”: il Procuratore Capo di “Mani Pulite”, quando Carlo Sama comincia a
nominare giornalisti, lo blocca con un liquidatorio: “Per quello che ci
risulta, si tratta di giornalisti con i quali Sama aveva appuntamenti di
lavoro” - Sama era l’“ufficiale pagatore” del sistema di tangenti collegato
all’affare Enimont, per conto del gruppo Ferruzzi. O la vera storia della
“discesa in campo”. Berlusconi temeva il fallimento a opera del sistema
Mediobanca, di Enrico Cuccia e i suoi salotti milanesi, e per proteggersi entrò
in politica. Dapprima come patrocinatore, subito dopo, al concretizzarsi delle
minacce, da capopopolo. Fu tenuto a galla da due banchieri marginali al
sistema, Luigi Fausti della Commerciale, che per questo pagherà, e Cesare
Geronzi dell’allora Banca di Roma, che Andreotti proteggerà dai fulmini
milanesi – Cuccia scese a patti con Andreotti. E la morale finale: con la
politica Berlusconi evitò la sorte dei Ferruzzi, un impero dissolto dai salotti
buoni nel nulla, col suicidio del capo azienda, Raul Gardini.
Molto peraltro Pomicino
qui si occupa di fatti correnti, come un qualsiasi opinionista (tratta pure della
“buona morte”), dopo un avvio brillante. Prefato da Ferruccio de Bortoli, che
certamente non è sulla stessa linea d’onda di Pomicino - e lo scrive. Ma sa
qual è la chiave di volta della Seconda Repubblica: la svendita della manomorta
pubblica. Anche se sembra avere, a tratti, la memoria corta, anche lui.
Pomicino
apprezza Draghi, anzi lo ritiene indispensabile, e lo scrive in un capitolo –
senza Draghi l’Italia in questa legislatura non sarebbe andata da nessuna
parte. Giusto. Ma la parte migliore dei suoi ricordi riguarda le
privatizzazioni piratesche, dei grandi enti economici, delle grandi banche e delle
grandi aziende pubbliche – roba da oligarchie postsovietiche: chi ha potuto ha
arraffato. Cui ha presieduto Draghi, direttore generale del Tesoro. Alcuni gruppi
sono riusciti a sopravvivere e anzi a rilanciarsi, molto competitivi sui
mercati internazionali – caratteristicamente quelli in cui lo Stato è ancora
socio di controllo: Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri. Altri invece sono crollati
a picco: molte banche, specie dopo l’eliminazione di Antonio Fazio dalla Banca
d’Italia, la Sip-Stet, gruppo allora d’avanguardia, che privatizzato e spolpato
sopravvive da “salvataggio” in “salvataggio” (con la piùbassa velocità internet in Europa, appena 50 o 60 Mbps), la siderurgia, la meccanica (Ansaldo,
Breda, Galileo, Nuovo Pignone…), Autostrade, l’alimentare (quanti marchi
svenduti, per niente).
Paolo
Cirino Pomicino, Il grande inganno, Lindau, pp. 217 € 18,50
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