Nel
Settecento Dante non era ben letto in Francia, dai gesuiti, e da Voltaire – ex
allievo dei gesuiti. La posizione di Croce sulla “Divina Commedia” viene in
fondo, in riassunto. Più diffusa, e critica, l’esposizione di quanto Voltaire è
venuto scrivendo di Dante e della “Commedia”, mai di seguito, ma per accenni
costanti. Il più gradevole dei qual è che
Dante è “bizzarro”.
Voltaire
non conosceva bene l’italiano quando si avvicinò alla “Commedia”. Ma ne provò a
tradurre qualche verso, e nell’“Essai sur la poésie épique”, 1728, lo menziona,
solo di nome, accanto a Trissino, Andreini (di cui opina che abbia scritto il
vero “Paradiso Perrduto”, che Milton avrebbe poi plagiato), Scipione Maffei,
Tasso, e il “Pastor fido” di Guarini. Poi migliorerà la conoscenza
dell’italiano, e della letteratura italiana, e si innamorerà dell’Ariosto, che
giudicherà incomparabilmente il miglior poeta, anche epico – nel 1774, poco
prima della morte, nell’epistola dedicatoria a D’Alembert premessa alla
tragedia “Don Pedro” lo dice “il primo dei poeti italiani, e forse del mondo
intero” (in precedenza, 1759, scrivendo a Madame du Deffand, “la più feconda
immaginazione di cui la natura abbia mai fatto dono a un uomo”). Dante non è
epico, è appunto “bizzarro”. Ha però il merito di avere introdotto gli italiani
al fiorentino: “Non c’è niente che Dante non esprimesse, sull’esempio degli
Antichi. Abituò gli italiani a dire tutto”. Considerazione riprese
“sistematicamente” nel “Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni”, nel
1756: Dante ha nobilitato la lingua toscana, “col suo poema bizzarro, ma
brillante di bellezze anaturali… ,opera nella quale l’autore si elevò nei
dettagli al di sopra del cattivo gusto del suo secolo e del suo argomento,
piena di pezzi scritti così puramente come se fossero del tempo dell’Ariosto e
del Tasso”.
Felice
Del Beccaro, Voltaire e Croce su Dante,
“Enciclopedia dantesca” (a cura di Umberto Bosco), free online
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