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La globalizzazione non fa bene all'economia
Fa bene agli affari –mai guadagno così facile e così
elevato da quando si può “produrre” in Cina. O in altri laboratori a basso
costo e di rispettabile qualità. Ma non all’economia.
La globalizzazione ha immiserito l’Europa, e gli
italiani, poiché ne ha ridotto i livelli di reddito relativi, e questo non va
bene all’economia. In una bilancia mondiale, dei crediti e demeriti di una
politica,è normale e anche giusto che il made in China soppianti ogni altra
attività in altri mercati di produzione non in grado di competere. Ma allora
bisognerebbe che fosse a condizioni operative ugualizzate, senza il dumping di cui molti mercati emergenti
si avvantaggiano, economico (salariale, di costi) e sociale (sindacale,
legale). In Cina soprattutto vasto, grazie al regime politico duro e forte, in
grado di permettersi un dumping
sociale (paghe orarie, orari di lavoro) di imbattibili proporzioni.
L’economia italiana, che era la quinta, forse anche
la quarta trent’anni fa, ora arranca, nella seconda decina. La povertà assoluta
delle famiglie italiane è passata dal 4,3 per cento del totale nel 2000, 954
mila nuclei, per un totale di 2 milioni 937 mila individui, a poco meno di 2 milioni
di famiglie nel 2021, il 7,6 per cento del totale delle famiglie, per 5,6
milioni di individui, il 9,4 per cento della popolazione – quasi il doppio che
vent’anni prima.
Che il
pil malgrado tutto cresca ancora non è di per sé segno di salute. Se c’è, come
in questi anni, un redistribuzione in calo
del reddito, anzi una piramidalizzazione accresciuta del reddito disponibile,
prodotto. Il motore in realtà è asintono, una distribuzione piramidalizzata del
reddito implica un allentamento progressivo della funzione produzione\consumo,
che è il vero motore di un’economia. Qui, nella globalizzazione, si ha un’accumulazione che è piuttosto una sterilizzazione
del reddito, in attività commerciali (quanto imprenditori sono di fatto meri
venditori di prodotti cinesi), in paradisi fiscali, in consumi d lusso - non lo
yacht da duecento metri di stazza fa il benessere, ma duecento dodici metri a vela,
con modesta capacita di cavalli vapore: il reddito produce, oltre che
riprodursi, solo se distribuito.
I
ricchi poveri
Nel 1994 venivano censite 2.038.000 famiglie in
povertà, per 6.458.000 individui – il 10,2 per cento delle famiglie, l’11,5 per
cento degli individui. Ma è diverso il concetto di povertà assoluta. In termini
di povertà relativa, il dato 2021 censisce circa 2,9 milioni di famiglie, l’11,1
per cento del totale, per un totale di quasi 8,8 milioni di individui, il 14,8
per cento della popolazione. Tutti di immigrazione recente? Non tra i residenti,
che l’Istat monitora – del resto la povertà è più ampia al Sud, più del doppio che
al Nord, mentre al Sud gli immigrati sono tra un quarto e un terzo che al Nord.
In parte dovuta all’immigrazione, in parte al prolungamento della vita media
(persone sole anziane). Ma soprattutto per tre fattori. Per una riduzione del reddito
medio comparato. Per il numero sempre in calo di occupati nelle fasce di età
lavorative. E per il monte salari stagnante, in calo in germini reali.
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