L’infelicità di essere madre
Dodici racconti “dal vero”, di e attorno
alla cronaca (Cogne apre e chiude, con dedica a Anna Maria Franzoni: le storie
sono in realtà dieci, incorniciate dall’infanticidio in val d’Aosta), con un’escursione
esotica a Godarat nel 1237, su genitorialità fuori norma. Non in linea cioè col
vero senso della procreazione, che è di dare vita. Di donne per lo più. Con tre
storie di uomini. E una, la più poetica o meno truce, che si vuole di Ouro
Preto in Brasile, nel 1936, con un narratore al maschile che si rivela portavoce
di un io femminile.
Una mantide campeggia in copertina, ma sono
racconti del rifiuto della vita, propria e altrui. Per inadeguatezza si dice,
ma insomma per confusione mentale. Specie quando la madre rifiuta la figlia,
per una forma di gelosia.
Un assunto originale, per un punto di vista
forse solo necessario. Della donna che è naturalmente madre, ma rifiuta questa condizione.
È strano semmai che arrivi in ritardo, in epoca di decostruzioni. Che dopo
Tremestieri però – e Valfurva, e la stessa Cogne, che trova Petri solidale, e
altri che le cronache trascurano (le guerre madre-figlia sono il caso più
ricorrente dei servizi sociali in ambito urbano) – sa di raccapriccio. Funziona
non contro la maternità in ambito patriarcale, ma contro le madri dei racconti,
per quanto vittime: in nessun punto della storia, nemmeno nel maschilismo più
bieco, la maternità è una imposizione, una tortura inevitabile.
Romana Petri, Mostruosa maternità, Perrone, pp. 200 € 16
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