“Nel mare io mi
rifugiavo, come in una non vita, un mio segreto benessere”, a totale arbitrio
del Pasolini bambino e ragazzo. Delle tre prose qui raccolte, del 1949-1950,
non pubblicate in vita, la più importante (rivelatrice) è senz’altro l’ultima,
“Operetta Marina – il “romanzo” del titolo è importante per altri motivi, come
primo tentativo di usare la terza persona, e di rappresentare, per quanto
flebilmente, la “diversità” sessuale. Scritta al modo di Proust. Con un omaggio
a Rimbaud, di cui riporta “Enfance” per intero, “la più incantevole
Illuminazione”, la seconda. Completa il libro un’altra più breve memoria, “Un
articolo per «Il Progresso»”.
Le prime prove
(“forme aurorali” le dice Naldini, che ha curato l’edizione postuma) del
discorso indiretto libero. E di vicende, ambienti e personaggi narrati
attraverso gli occhi e il linguaggio del mondo popolare. Con l’omosessualità
sempre sofferta, anche quando era ignota, in queste prose del 1949-1950 come
negli ultimi anni, autore affermato e personaggio nazionalpopolare. Ci sono
anche, settant’anni fa, le “riforme di struttura” – niente cambia.
“Un articolo per
il «Progresso»” è un primo tentativo, molto prima di Calvino, di raccontare una
vicenda elettorale, tra i manifesti murali della Dc contro la candidata di
sinistra, “la signora profetessa” – era una professoressa. Ma è un appunto,
benché in bella copia: un racconto che inizia e non finisce. “Operetta marina”
è un esercizio di memoria infantile, scritto alla maniera di Proust. Con la
constatazione sorprendente, per lo stesso Pasolini, del bambino che in terza
elementare dichiara alla madre: “Quando sarò grande farò il poeta e il capitano
di marina”. Un esercizio in autofiction, dell’infanzia e la prima
adolescenza, a Cremona e a Sacile, nelle scuolette e le scorribande. Prova
generale, a Cremona, del romanzo a venire: le periferie, i ragazzi, le marrane,
le scarpate, “stracci di erbe acquatiche, luride, scompigliate”, “prati golenali”,
“cocci scottanti”, “bruciati steri”. Qui col “fratellino Guido”, menzionato un
paio di volte. E con “le brucianti inquadrature della Tragedia del Bounty
e dei Capitani coraggiosi”, il film d Frank Lloyd con Charles Laughton,
Clark Gable e Franchot Tone, e quello di Victor Fleming con Spencer Tracy e il
piccolo Freddie Bartholomew.
Il mare è stato
l’orizzonte del narratore fino a tardi, fino a Bologna, all’università. Quello
“omerico” a Cremona”, quello “salgariano” a Sacile, quello “virgiliano” di Scandiano
e Reggio, poi di Bologna. Poi basta: “Finito il Liceo fui per iscrivermi
all’Accademia Navale di Livorno; mi iscrissi invece alla facoltà di Lettere” -
il ruolo del padre, militare di carriera, riaffiora, come sempre innominato,
socievole ma estraneo. “Operetta marina” è parte, spiega Naldini, doveva essere
parte di un progetto vasto, “Per un romanzo del mare”,.
Salgari, De
Amicis, “Cuore” sono porte aperte, come in tutte le vite giovani dell’epoca. Ma
del mare c’è già una lettura “pittorica”, sulle immagini del museo Navale di
Amsterdam. Di più però, di fatto, il ragazzo è già terragno, nell’evocazione di
Sacile, della madre, delle amiche Irene e Pinella. È marino da “piccolo
italiano”, con limiti: Yanez, Sandokan, Kammamuri e Tremal Naik sì, la fantasia
li accende, e basta, “leggevo controvoglia Verne, e odiavo Conrad”.
Il racconto del
titolo è più strutturato, è un romanzo. È la storia di un prete giovane al suo
primo incarico pastorale, parroco di un paesino del Friuli. Dove scopre la
povertà e il bisogno. E la tentazione, nelle forme di un ragazzo - nella
maniera d’essere e di porsi del giovane contadino. Che condivide con il
federale del Partito, giovane anche lui, ma più solido. Turbamenti che si
penserebbe platonici, e invece no. Cesare, il ragazzo del giovane prete, è per lui
“puro mistero, un mistero senza segreti”. Lo stesso, coi pantaloni dell’anno
prima, aderenti, è “qualcosa di impuro”. E la Bibbia, aperta a caso, dove
rimanda? “A «restare nella carne», amare con la carne, evidentemente” – peggio:
“Mi baci col bacio della sua bocca”. Interverrà l’esilio, per evitare lo
scandalo – il racconto è di una passione irreprimibile e non punibile – con l’emigrazione.
Che se allontana il peccato non interrompe la passione.
È bizzarro come la
sessualità problematica venga inquadrata da Pasolini dapprima nella funzione
discente, scolastica o politica – probabile riflesso della sua vicenda personale
(o i turbamenti omoerotici si configurano in quelle specifiche forme, come
avverrà poi per Cohn-Bendit, maestro pederasta, lui non turbato?) I primi
fremiti si integrano su materiali dal vero, commissionati a vecchi amici,
emigrati, artigiani, operai, cui lo scrittore chiede diari di vita vissuta, di
esperienze – una pratica che Naldini documenta, attraverso la corrispondenza,
in un paio di casi. Il racconto popolando di mondi mitizzati, e in fermo
immagine, come figurine di vasi greci.
Pier Paolo
Pasolini, Romàns, Guanda, pp. 198 € 12
Le prime prove (“forme aurorali” le dice Naldini, che ha curato l’edizione postuma) del discorso indiretto libero. E di vicende, ambienti e personaggi narrati attraverso gli occhi e il linguaggio del mondo popolare. Con l’omosessualità sempre sofferta, anche quando era ignota, in queste prose del 1949-1950 come negli ultimi anni, autore affermato e personaggio nazionalpopolare. Ci sono anche, settant’anni fa, le “riforme di struttura” – niente cambia.
“Un articolo per il «Progresso»” è un primo tentativo, molto prima di Calvino, di raccontare una vicenda elettorale, tra i manifesti murali della Dc contro la candidata di sinistra, “la signora profetessa” – era una professoressa. Ma è un appunto, benché in bella copia: un racconto che inizia e non finisce. “Operetta marina” è un esercizio di memoria infantile, scritto alla maniera di Proust. Con la constatazione sorprendente, per lo stesso Pasolini, del bambino che in terza elementare dichiara alla madre: “Quando sarò grande farò il poeta e il capitano di marina”. Un esercizio in autofiction, dell’infanzia e la prima adolescenza, a Cremona e a Sacile, nelle scuolette e le scorribande. Prova generale, a Cremona, del romanzo a venire: le periferie, i ragazzi, le marrane, le scarpate, “stracci di erbe acquatiche, luride, scompigliate”, “prati golenali”, “cocci scottanti”, “bruciati steri”. Qui col “fratellino Guido”, menzionato un paio di volte. E con “le brucianti inquadrature della Tragedia del Bounty e dei Capitani coraggiosi”, il film d Frank Lloyd con Charles Laughton, Clark Gable e Franchot Tone, e quello di Victor Fleming con Spencer Tracy e il piccolo Freddie Bartholomew.
Il mare è stato l’orizzonte del narratore fino a tardi, fino a Bologna, all’università. Quello “omerico” a Cremona”, quello “salgariano” a Sacile, quello “virgiliano” di Scandiano e Reggio, poi di Bologna. Poi basta: “Finito il Liceo fui per iscrivermi all’Accademia Navale di Livorno; mi iscrissi invece alla facoltà di Lettere” - il ruolo del padre, militare di carriera, riaffiora, come sempre innominato, socievole ma estraneo. “Operetta marina” è parte, spiega Naldini, doveva essere parte di un progetto vasto, “Per un romanzo del mare”,.
Salgari, De Amicis, “Cuore” sono porte aperte, come in tutte le vite giovani dell’epoca. Ma del mare c’è già una lettura “pittorica”, sulle immagini del museo Navale di Amsterdam. Di più però, di fatto, il ragazzo è già terragno, nell’evocazione di Sacile, della madre, delle amiche Irene e Pinella. È marino da “piccolo italiano”, con limiti: Yanez, Sandokan, Kammamuri e Tremal Naik sì, la fantasia li accende, e basta, “leggevo controvoglia Verne, e odiavo Conrad”.
Il racconto del titolo è più strutturato, è un romanzo. È la storia di un prete giovane al suo primo incarico pastorale, parroco di un paesino del Friuli. Dove scopre la povertà e il bisogno. E la tentazione, nelle forme di un ragazzo - nella maniera d’essere e di porsi del giovane contadino. Che condivide con il federale del Partito, giovane anche lui, ma più solido. Turbamenti che si penserebbe platonici, e invece no. Cesare, il ragazzo del giovane prete, è per lui “puro mistero, un mistero senza segreti”. Lo stesso, coi pantaloni dell’anno prima, aderenti, è “qualcosa di impuro”. E la Bibbia, aperta a caso, dove rimanda? “A «restare nella carne», amare con la carne, evidentemente” – peggio: “Mi baci col bacio della sua bocca”. Interverrà l’esilio, per evitare lo scandalo – il racconto è di una passione irreprimibile e non punibile – con l’emigrazione. Che se allontana il peccato non interrompe la passione.
È bizzarro come la sessualità problematica venga inquadrata da Pasolini dapprima nella funzione discente, scolastica o politica – probabile riflesso della sua vicenda personale (o i turbamenti omoerotici si configurano in quelle specifiche forme, come avverrà poi per Cohn-Bendit, maestro pederasta, lui non turbato?) I primi fremiti si integrano su materiali dal vero, commissionati a vecchi amici, emigrati, artigiani, operai, cui lo scrittore chiede diari di vita vissuta, di esperienze – una pratica che Naldini documenta, attraverso la corrispondenza, in un paio di casi. Il racconto popolando di mondi mitizzati, e in fermo immagine, come figurine di vasi greci.
Pier Paolo Pasolini, Romàns, Guanda, pp. 198 € 12
Nessun commento:
Posta un commento