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Petrobufale
Grande edizione, con apparati più lunghi dei
testi, rilegata, in formato gigante, da grande classico. Con sgomento reiterato
di Walter Siti, onesto curatore. E “pezze d’appoggio”, i materiali su cui
Pasolini lavorava, che ne dicono la difficoltà, trattandosi – volendosi - il
romanzone documentario, un romanzo-verità. Sono articoli di giornale. Su e
contro Cefis, che si era fatto manager-padrone di Montedison, allora grande
cosa a Milano, che “Milano” (banche e giornali) non gradiva. Su Girotti, che
nessuno sa chi sia ma era il successore e longa manus di Cefis
all’Eni, finché non tentò di fargli le scarpe in Montedison – e con ragione:
come Eni, doveva colmare ogni anno le perdite multimiliardarie di Montedison
senza contare niente. E sulle liti di Girotti con Francesco Forte, l’economista
ora deceduto, nominato vice-presidente Eni per “lottizzazione” politica
(Girotti era fiero democristiano, come tutto nel mondo dell’energia, sarà anche
senatore Dc, Forte era nominato dal partito Socialista), che Girotti in un
organigramma memorabile collocò in una pagina a sé, casella solitaria, e senza
alcuna incombenza – una vice-presidenza che distrusse il brillante economista
lombardo: Roma, dove scese a vivere da solo, lo ubriacò, lo si incontrava la
sera a piazza Navona o Campo dei Fiori, solitamente ubriaco anche lui.
Franco Fortini, “Io, tu e
Pier Paolo”, “L’Espresso” 7 dicembre 1986, la recensione dell’epistolario
1940-1954 curato da Nico Naldini, seppure sempre apocalittico, ha ragione nella
sostanza:
“Per innovare il discorso
critico su Pasolini, la pubblicazione degli epistolari, degli inediti, e delle varianti
serve a poco, fuorché alla chiacchiera universale” – e si può immaginare cosa
ne avrà pensato all’uscita di “Petrolio”, affrettata, raffazzonata, sei anni
dopo. Una pubblicazione scandalistica, ma in sé più che per i contenuti che
esibisce. Arbasino
ne scrisse a lungo urtato, malgrado l’amicizia personale, dalla violenza insistita
del “romanzo” (trattamento? bozza? appunti), e dalla ricerca editoriale di un succès
de scandale con l’esibizione degli “atti impuri”: “Ripete molte volte «il
glande», che sembra un verdura desueta o un frutto della Quercia con necessità di
note filologiche”.
Questo per la filologia, e sarebbe già
abbastanza per chiudere il libro. Ma “Petrolio” ora si vuole vendere come la
soluzione dei “misteri italiani”, dei lunghi terribili anni 1970, seguiti
all’Autunno Caldo del 1969 a partire da piazza Fontana. E la cosa è bizzarra –
diminuisce molto il Pasolini civile, dantesco, degli ultimi suoi tempi.
La riedizione insiste su un capitolo rubato. Né
Naldini a suo tempo né ora Siti sanno nulla di capitoli rubati, o di Eni. Ma
Carla Benedetti e “L’Espresso” tipicamente vi insistettero all’epoca della
prima pubblicazione. Basandosi sul giudice Cali, uno che ha passato la sua vita
in magistratura a intessere ipotesi sulla
fine di Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni. E ipotizzando che il cosiddetto
capitolo mancante – c’è la copertina, “Cefis”, non c’è niente dentro – fosse
“basato”, scriveva Benedetti su “L’Espresso”, “su uno strano libro, «Questo è Cefis»,
pubblicato nel 1972 con lo pseudonimo di Giorgio Steimetz dall’Agenzia Milano
Informazioni, di Corrado Ragozzino” – che è Steimetz? “Finanziato da Graziano Verzotto”,
che Benedetti e Calia definiscono “amico di Mattei”, mentre non lo era: Verzotto
era uno dei tanti veneti maneggioni in Sicilia, definito “l’uomo dei misteri”
in morte, che a un certo punto fuggì all’arresto rifugiandosi a Beirut, “amico
di Mattei” (che non aveva “amici”) per sua peculiare fabulazione. Mentre Cefis
aveva all’Eni come uomo di fiducia, presso giornali e partiti, che lui
personalmente disdegnava, Franco Briatico, una Grande Democristiano che
finanziava il “Manifesto” – che però da ultimo ebbe qualche dissapore con Cefis,
poiché Cefis non l’aveva voluto con sé alla Montedison, come era nelle
ambizioni di Briatico.
Avendo lavorato con queste persone in quegli
anni, a partire dal fatidico 1968, si può testimoniare che le “agenzie” erano
una miriade, in funzione di ricatto, per uno o più “abbonamenti” (milioni di
lire), altrimenti scatenavano “campagne stampa”. Il problema vero che ponevano
era che bisognava spulciarle ogni giorno, o quando uscivano, perché erano
specialisti di quelle che oggi si chiamano fake news, allora “voci”
o “boatos”. Erano opera di qualche carabiniere a riposo, e di informatori veri
o presunti dei servizi segreti, persone che avrebbero ambito a esserlo, carabinieri
e\o agenti segreti, un po’ come il vigilante è tipicamente quello che voleva
essere poliziotto, e facevano sospettare di poter essere espressione o massa di
manovra di servizi segreti – il che non era impossibile, i servizi in Italia
erano e sono opera di basso giornalismo.
Contro Cefis le “agenzie” si scatenarono quando
passò dall’Eni alla Montedison - che Cefis attraverso l’Eni si era comprato.
Manager certamente poco accomodante, un ex ufficiale dell’esercito che l’8
settembre era passato con la parte giusta, che fu facile trasformare in agitatore
di complotti – insieme con Carlo Pesenti, che oggi invece si celebra come grande
democratico, e con Attilio Monti, un petroliere (della raffinazione) che era
padrone dei giornali del Centro Italia. A opera degli stessi servizi di
(dis)informazione che invece sono stati dietro a molte tragedie dell’Italia in
quegli anni – i cd “servizi deviati”. Alla Montedison Gioacchino Albanese, che
Cefis si era portato dietro dall’Eni invece di Briatico, ritenne di non dover
più stare al ricattino delle “agenzie” – anche perché aveva a disposizione il
“Corriere della sera” (il “Corriere della sera” di Ottone, di cui Pasolini era
la star), che Montedison pagava per conto dello squattrinato Angelo Rizzoli. E
Cefis divenne il complottatore universale – presto del tutto dimenticato quando
riconobbe il suo fallimento alla Montedison e abbandonò la scena. Un “romanzo”
costruito sul niente, sulle chiacchiere?
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Garzanti,
pp. 828, ril. € 28
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