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mercoledì 8 giugno 2022

Petrobufale

Grande edizione, con apparati più lunghi dei testi, rilegata, in formato gigante, da grande classico. Con sgomento reiterato di Walter Siti, onesto curatore. E “pezze d’appoggio”, i materiali su cui Pasolini lavorava, che ne dicono la difficoltà, trattandosi – volendosi - il romanzone documentario, un romanzo-verità. Sono articoli di giornale. Su e contro Cefis, che si era fatto manager-padrone di Montedison, allora grande cosa a Milano, che “Milano” (banche e giornali) non gradiva. Su Girotti, che nessuno sa chi sia ma era il successore e longa manus di Cefis all’Eni, finché non tentò di fargli le scarpe in Montedison – e con ragione: come Eni, doveva colmare ogni anno le perdite multimiliardarie di Montedison senza contare niente. E sulle liti di Girotti con Francesco Forte, l’economista ora deceduto, nominato vice-presidente Eni per “lottizzazione” politica (Girotti era fiero democristiano, come tutto nel mondo dell’energia, sarà anche senatore Dc, Forte era nominato dal partito Socialista), che Girotti in un organigramma memorabile collocò in una pagina a sé, casella solitaria, e senza alcuna incombenza – una vice-presidenza che distrusse il brillante economista lombardo: Roma, dove scese a vivere da solo, lo ubriacò, lo si incontrava la sera a piazza Navona o Campo dei Fiori, solitamente ubriaco anche lui.
Franco Fortini, “Io, tu e Pier Paolo”, “L’Espresso” 7 dicembre 1986, la recensione dell’epistolario 1940-1954 curato da Nico Naldini, seppure sempre apocalittico, ha ragione nella sostanza:
“Per innovare il discorso critico su Pasolini, la pubblicazione degli epistolari, degli inediti, e delle varianti serve a poco, fuorché alla chiacchiera universale” – e si può immaginare cosa ne avrà pensato all’uscita di “Petrolio”, affrettata, raffazzonata, sei anni dopo. Una pubblicazione scandalistica, ma in sé più che per i contenuti che esibisce. Arbasino ne scrisse a lungo urtato, malgrado l’amicizia personale, dalla violenza insistita del “romanzo” (trattamento? bozza? appunti), e dalla ricerca editoriale di un succès de scandale con l’esibizione degli “atti impuri”: “Ripete molte volte «il glande», che sembra un verdura desueta o un frutto della Quercia con necessità di note filologiche”.
Questo per la filologia, e sarebbe già abbastanza per chiudere il libro. Ma “Petrolio” ora si vuole vendere come la soluzione dei “misteri italiani”, dei lunghi terribili anni 1970, seguiti all’Autunno Caldo del 1969 a partire da piazza Fontana. E la cosa è bizzarra – diminuisce molto il Pasolini civile, dantesco, degli ultimi suoi tempi.
La riedizione insiste su un capitolo rubato. Né Naldini a suo tempo né ora Siti sanno nulla di capitoli rubati, o di Eni. Ma Carla Benedetti e “L’Espresso” tipicamente vi insistettero all’epoca della prima pubblicazione. Basandosi sul giudice Cali, uno che ha passato la sua vita in magistratura  a intessere ipotesi sulla fine di Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni. E ipotizzando che il cosiddetto capitolo mancante – c’è la copertina, “Cefis”, non c’è niente dentro – fosse “basato”, scriveva Benedetti su “L’Espresso”, “su uno strano libro, «Questo è Cefis», pubblicato nel 1972 con lo pseudonimo di Giorgio Steimetz dall’Agenzia Milano Informazioni, di Corrado Ragozzino” – che è Steimetz? “Finanziato da Graziano Verzotto”, che Benedetti e Calia definiscono “amico di Mattei”, mentre non lo era: Verzotto era uno dei tanti veneti maneggioni in Sicilia, definito “l’uomo dei misteri” in morte, che a un certo punto fuggì all’arresto rifugiandosi a Beirut, “amico di Mattei” (che non aveva “amici”) per sua peculiare fabulazione. Mentre Cefis aveva all’Eni come uomo di fiducia, presso giornali e partiti, che lui personalmente disdegnava, Franco Briatico, una Grande Democristiano che finanziava il “Manifesto” – che però da ultimo ebbe qualche dissapore con Cefis, poiché Cefis non l’aveva voluto con sé alla Montedison, come era nelle ambizioni di Briatico.
Avendo lavorato con queste persone in quegli anni, a partire dal fatidico 1968, si può testimoniare che le “agenzie” erano una miriade, in funzione di ricatto, per uno o più “abbonamenti” (milioni di lire), altrimenti scatenavano “campagne stampa”. Il problema vero che ponevano era che bisognava spulciarle ogni giorno, o quando uscivano, perché erano specialisti di quelle che oggi si chiamano fake news, allora “voci” o “boatos”. Erano opera di qualche carabiniere a riposo, e di informatori veri o presunti dei servizi segreti, persone che avrebbero ambito a esserlo, carabinieri e\o agenti segreti, un po’ come il vigilante è tipicamente quello che voleva essere poliziotto, e facevano sospettare di poter essere espressione o massa di manovra di servizi segreti – il che non era impossibile, i servizi in Italia erano e sono opera di basso giornalismo.
Contro Cefis le “agenzie” si scatenarono quando passò dall’Eni alla Montedison - che Cefis attraverso l’Eni si era comprato. Manager certamente poco accomodante, un ex ufficiale dell’esercito che l’8 settembre era passato con la parte giusta, che fu facile trasformare in agitatore di complotti – insieme con Carlo Pesenti, che oggi invece si celebra come grande democratico, e con Attilio Monti, un petroliere (della raffinazione) che era padrone dei giornali del Centro Italia. A opera degli stessi servizi di (dis)informazione che invece sono stati dietro a molte tragedie dell’Italia in quegli anni – i cd “servizi deviati”. Alla Montedison Gioacchino Albanese, che Cefis si era portato dietro dall’Eni invece di Briatico, ritenne di non dover più stare al ricattino delle “agenzie” – anche perché aveva a disposizione il “Corriere della sera” (il “Corriere della sera” di Ottone, di cui Pasolini era la star), che Montedison pagava per conto dello squattrinato Angelo Rizzoli. E Cefis divenne il complottatore universale – presto del tutto dimenticato quando riconobbe il suo fallimento alla Montedison e abbandonò la scena. Un “romanzo” costruito sul niente, sulle chiacchiere?
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Garzanti, pp. 828, ril. € 28


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