Raccontare è combinare le incongruenze
Un manifesto, e un saggio seminale sulla
scrittura. Anche se premette: “Questi non sono tempi in cui gli scrittori di un
paese possano parlare per conto altrui” – era il 1960. Anche se non si ama il
diverso, lo specifico.
L’ambizione dello scrittore è sempre di essere
“realistico”, cioè convincente. Perciò non etichettabile. Ma “se siete uno
scrittore del Sud, quell’etichetta, e tutti gli equivoci che vanno con essa, vi
è incollata immediatamente… e sarete giudicati sulla fedeltà delle vostre narrazioni
alla tipica vita meridionale”. Questo nel quadro di una generale standardizzazione
della narrativa: “Critici e lettori…. associano il solo materiale legittimo dei
romanzi al movimento delle forze sociali, al tipico, alla fedeltà ai modi come
le cose appaiono e avvengono nella vita normale”. Se si tratta di uno scrittore
del Sud, la sua normalità è, “in senso peggiorativo, il grottesco”. Commentando,
caratteristicamente: “Naturalmente, ho scoperto che qualsiasi cosa viene dal Sud
sarà chiamata grottesca dal lettore settentrionale, a meno che non sia grottesca,
nel qual caso sarà chiamata realistica”.
Analizzando la “normalità”, l’autrice della “Saggezza
nel sangue” anticipa il senso della fine, nel mezzo allora del boom e dell’affluency, dell’abbondanza per
tutti, senza limiti: “Dal Settecento, lo spirito popolare di ogni epoca
successiva ha teso sempre più all’opinione che i mali e misteri della vita
finiranno, davanti ai progressi scientifici dell’uomo, una credenza che è sempre
forte se questa è la prima generazione a fronteggiare l’estinzione totale a
causa di questi progressi” – era allora l’epoca della Bomba, che oggi si
potrebbe dire del Clima. Diverso è il caso, dice di se stessa, “dello scrittore
che crede che la nostra vita è e rimane essenzialmente misteriosa”.
Quanto al grottesco, “Thomas Mann ha detto che
il grottesco è vero stile anti-borghese”, anti-convenzionale. Non in America, però, spiega Flannery, dove per grottesco s’intende compassionevole.
Un saggio non rassegnato, mordente, come tutto
in questa scrittrice: “Henry James disse che Conrad nei suoi racconti la faceva
lunga, nella misura più lunga possibile. Io credo che lo scrittore di racconti
grotteschi li deve ridurre al minimo, perché nel suo spazio le distanze sono così
grandi”. Anche se “non è necessario precisare che l’apparenza di questi racconti
dev’essere al naturale (wild), che quasi per necessità va a finire violenta
e comica, a causa delle incongruenze che prova a combinare”.
Oppure – sempre con Henry James nel mirino – a
proposito del romanziere richiesto di fare “l’ancella della sua epoca”, la
serva: “Sono giunta a pensare di questa ancella come del facchino nero di Henry
James che depose la sua cassetta da toletta in una pozza quando James lasciò l’albergo
di Charleston. James fu così obbligato a sedere nel vagone affollato con la
borsa sulle ginocchia. Per tutto il Sud il pover’uomo fu servito ignobilmente,
e poi scrisse che i nostri domestici erano le ultime persone al mondo a doversi
utilizzare in quell’impiego, perché erano per natura inadatti. Il caso è lo
stesso col narratore. Quando gli si dà il compito del domestico, lascerà il
bagaglio del pubblico in una pozza dietro l’altra”.
Flannery O’Connor,
Some Aspects of the Grotesque in Southern Fiction, free online
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