Non un libro di lettura, del segretario di bacino dell’Italia centrale, del bacino idrico, giornalista, divulgatore scientifico, ma una selva impressionante di dati, e d’imprevidenza – una specie di sommatoria, l’ennesima, dell’Italia allo sbando. L’Italia ha la più ricca idrologia, oggetto d’invidia nel mondo: 302 miliardi di mc di pioggia l’anno, 7.494 corsi d’acqua, con 1.242 fiumi a carattere torrentizio, 347 laghi naturali,538 dighe con laghi artificiali, oltre 20 mila piccoli specchi d’acqua, 1.053 falde montane di acqua purissima, e tanto mare, quasi quanto una grande isola. E non ha acqua. Non ce l’ha ora nella siccità, ma nemmeno quando pioveva. E piove molto: a Roma piovono 800 millimetri all’anno, a Londra 760.
Un
Paese di un’imprevidenza perfino troppo sciocca. “Stocchiamo meno acqua
rispetto agli anni Settanta.
Cinquant’anni fa riuscivamo a immagazzinarne nove miliardi di metri cubi
in più”. Poi l’imprevidenza, in crescita esponenziale. “Il Tevere ha una
portata media di mille metri cubi al secondo. Nella grande magra del 2017 scorreva
a 270 metri cubi al secondo”. Immaginarsi ora, che sembra secco. E si sa anche perché:
non si regolano i bacini idrici a monte, e si spreca l’acqua trasportata,
l’acqua potabile: “Sui 600 mila km di reti idriche le perdite sono al 42 per
cento”. Un fatto notorio, da tempo, senza che non gliene freghi nulla a
nessuno: “La sottovalutazione è impressionante. L’acqua è un bene pubblico, ma
non rientra nei finanziamenti pubblici da oltre trent’anni” – anni di
battaglie, si può aggiungere, politiche e referendarie per mantenere l’acqua un
bene pubblico… Né le cose sono destinate
a cambiare: D’Angelis scriveva prima della siccità, ma “sui 220 miliardi del
Pnrr all’acqua è destinato poco più dell’1 per cento”.
Erasmo
D’Angelis, Acque d’Italia, Giunti,
pp. 432, ill. € 15
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