Con
l’emergere della storia globale è un’altra storia. L’analisi, però, non
prescinde “dalla lingua e dal contesto”, da qui questa storia dell’Italia
contemporanea, in un ambito comparativo e globale.
Un’interconnessione
già emersa con la “storia delle donne”, e con quella dei fenomeni migratori,
qui analizzati da Alessandra Gissi - Gissi rilegge la storia delle donne dal
punto di vista dell’emigrazione oggi centrale per l’Italia, per il sistema
produttivo e per la società: “Senza tenere a mente le migrazioni è difficile
leggere i cambiamenti macro e micro economici, i modelli di welfare., quelli
sociali, culturali e di mentalità, le ristrutturazioni del mercato del lavoro,
le relazioni tra individui e istituzioni, i ruoli familiari e domestici, la
dinamica tra coercizione e autonomia dei soggetti, le continue risignificazioni
dei concetti di «naturale» e «tradizionale», le relazioni tra classi e generi,
le dinamiche di definizione
dell’alterità”(p.257); e centrale il suo “Donne e migrazioni” si pone
nella raccolta.
Si parte dalla prima emigrazione italiana, che è di donne, le balie, e si arriva all’immigrazione, all’Italia che diventa un Paese di immigrazione, sempre al femminile: di africane (Eritrea, Somalia, Etiopia, Capo Verde), poi filippine, poi peruviane, poi europee dell’Est, e qui siamo ai milioni, dall’Albania, la Polonia la Romania, la Bulgaria, la Moldavia, perfino dalla Russia. Se le migrazioni sono il segno dell’epoca, come conclude Alessandra Gissi, allora è anche una storia al femminile.
Ci sono tante storie delle donne, dopo quella enciclopedica
presieduta da Duby, non ce n’era una delle donne nella Repubblica. Silvia
Salvatici, che ne ha avuto l’idea, la ambienta subito nella “storia
globale”.
Non
sono, non sono state, le donne a essere inattive, sono le letterature e le
storiografie a trascurarle, spiega Gissi. Anche quelle che trattano delle
migrazioni – i distacchi, coniugali, parentali, le nostalgie, le assenze, i
tempi lenti e dilatati di ogni più effimera decisione: “Le donne migranti, al
pari degli uomini, sono state «agenti»,
certamente in grado di adattarsi alle società di accoglienza ma, anche, di
rimodellare tanto i contesti di arrivo quanto quelli di partenza” (p. 241).
Tocca a loro, a chi resta, “un ruolo decisivo per la riuscita, o meno, del
progetto migratorio” – “le odierne «famiglie transnazionmli»…. esistevano già
cento anni addietro”: nell’organizzazione familiare, nell’investimento dei
risparmi (le rimesse).
I
primi migranti erano donne. Lavandaie, tessitrici, ricamatrici, collaboratrici
domestiche. Dalle campagne alle città, anche remote: “lavoratrici del settore
domestico, «femminilizzatosi» dopo la prima metà del Settecento a causa dei
processi di industrializzazione che assorbono manodopera maschile”. Le balie
migrarono a lungo ache all’estero, al Cairo, ad Alessandria d’Egitto – e in
Nord Africa e nel Vicino Oriente. E quando emigrano gli uomini, nel secondo Ottovento,
“le donne assumono vasti compiti di supplenza” –con i figli, nei campi,dal
notaio, in banca, all’anagrafe e per ongi atto publico. Uno scrolloe alla
logica protofemminista dell’asservimento, più o meno volontario: basta scavare.
L’ottica rivendicazionista si salva meglio accertando la verità dei fatti.
Gissi
salva pure la famigerata “donna del Sud”, che nel linguaggio anglossasone
connota l’italianità, “lo stereotipo associato lungamente alle donne italiane
emigrate negli Stati Uniti, e alla donne italoamericane di seconda generazione”
(244). Di fatto le donne sono al centro del progetto, non solo in casa, ma
anche nel quartiere: “Sono, di fatto, le reti femminili a strutturare
l’aggregazione parrocchiale, la creazione di società caritative e di mutuo
soccorso, l’attivazione di fome di solidarietà e protesta in tempi di crisi”. O
anche, in chiave rivendicazionista, è sempre un bilancio “talvolta
emancipatorio, se non liberatorio” che Gissi trae dalla sua disamina, “rispetto
ai contesti originari opprimenti per controllo familiare, sociale e una
normatività verso cui cresce l’insofferenza” (250).
La
curatrice ricostruisce le attività e responsabilità delle donne nelle guerre,
“arte” per eccellenza maschile. In ruoli non combattenti in Italia, in fabbrica
e nei campi, in aggiunta ai lavori tradizionali di accudimento. E non può
mancare la storia del delitto d’onore, e del matrimonio riparatore, di cui
l’Italia si è liberata a fatica in ritardo – due istituti di fatto aboliti
dalle donne, giovani – nella ricostruzione di Laura Schettini. Pescarolo fa la
storia, paradossale, buffa, se non fose pericolosa e anche un po’ tragica, del
“declino del lavoro” come valore, in quanto retribuzione e come apprezzamento
sociale, al culmine del “«trentennio glorioso» dei diritti”, cioè con l’avvento
della globalizzazione. Culmine che aveva coinciso, va rilevato, con
l’esaurimento del primo centro-sinistra, che il diritto di famiglia e lo
statuto giuridico delle donne, in società e al lavoro, aveva rigenerato: manca
del tutto, in questa storia, il contesto politico. Con l’eccezione del
contributo di Anna Scattigno, “Le forme della fede: cristianesimo, femminismi,
militanza”: il rinnovamento cattolico costante, anche in chiave femminile e
femminista.
Enrica
Asquez risuscita una gustosa pubblicistica (maschile) dell’economia domestica.
Curioso l’assunto di Catia Papa, della donna militante da Assab e Massaua,
all’origine dell’imperialismo italiano, fino alla fede per il Duce. Un assunto patriottico, bisogna dire, che se finisce
nel fascismo, è stato alimentato dalla sinistra, crispina, e poi interventista.
Un’altra curiosità Papa individua, nella politica demografica del fascismo,
delle nascite come potenza, come esito anche dell’eugenetica, che è di origine
e ideologia laica, liberal.
Paola
Stelliferi abbozza una storia del femminismo – dei “femminismi”. Il ruolo
femminile tradizionale, della donna-madre, Elisabetta Vezzosi conferma che
viene letto sempre inadeguatamente, sui tempi, e sulle funzioni – anche oggi,
che il declino demografico è diventato realtà.
La
collettanea è a largo raggio. Con alcune sorprese. Vinzia Fiorino trova nel
Lombardo-Veneto e in Toscana diritti delle donne che lo Stato unitario non
riconoscerà: il voto amministrativo in entrambe le aree, la parità patrimoniale
nel diritto di famiglia nell’Italia “austriaca”. Curioso (bislacco) il
dibattito protratto sulla sessualità, nico contributo masschile, di Emmanuel
Betta. Con Lombroso, Mantegazza, Aldo Mieli, “espulso dal partito Socialista
perché «pederasta»”, Sibilla Aleramo. E con la partecipazione di più di
un’atleta alle gare sportive maschili: ciclismo (Alfonsina Morini in Strada),
motociclismo (Ettorina Sambri, testimonial della moto Borghi).
Silvia
Salvatici (a cura di), Storia delle
donne nell’Italia contemporanea, Carocci, pp. 367 € 27
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