lunedì 4 luglio 2022

Con le donne in testa

Con l’emergere della storia globale è un’altra storia. L’analisi, però, non prescinde “dalla lingua e dal contesto”, da qui questa storia dell’Italia contemporanea, in un ambito comparativo e globale. 

Un’interconnessione già emersa con la “storia delle donne”, e con quella dei fenomeni migratori, qui analizzati da Alessandra Gissi - Gissi rilegge la storia delle donne dal punto di vista dell’emigrazione oggi centrale per l’Italia, per il sistema produttivo e per la società: “Senza tenere a mente le migrazioni è difficile leggere i cambiamenti macro e micro economici, i modelli di welfare., quelli sociali, culturali e di mentalità, le ristrutturazioni del mercato del lavoro, le relazioni tra individui e istituzioni, i ruoli familiari e domestici, la dinamica tra coercizione e autonomia dei soggetti, le continue risignificazioni dei concetti di «naturale» e «tradizionale», le relazioni tra classi e generi, le dinamiche di definizione  dell’alterità”(p.257); e centrale il suo “Donne e migrazioni” si pone nella raccolta.

Si parte dalla prima emigrazione italiana, che è di donne, le balie, e si arriva all’immigrazione, all’Italia che diventa un Paese di immigrazione, sempre al femminile: di africane (Eritrea, Somalia, Etiopia, Capo Verde), poi filippine, poi peruviane, poi europee dell’Est, e qui siamo ai milioni, dall’Albania, la Polonia la Romania, la Bulgaria, la Moldavia, perfino dalla Russia. Se le migrazioni sono il segno dell’epoca, come conclude Alessandra Gissi, allora è anche una storia al femminile. 

Ci sono tante storie delle donne, dopo quella enciclopedica presieduta da Duby, non ce n’era una delle donne nella Repubblica. Silvia Salvatici, che ne ha avuto l’idea, la ambienta subito nella “storia globale”. 

Non sono, non sono state, le donne a essere inattive, sono le letterature e le storiografie a trascurarle, spiega Gissi. Anche quelle che trattano delle migrazioni – i distacchi, coniugali, parentali, le nostalgie, le assenze, i tempi lenti e dilatati di ogni più effimera decisione: “Le donne migranti, al pari degli uomini, sono state  «agenti», certamente in grado di adattarsi alle società di accoglienza ma, anche, di rimodellare tanto i contesti di arrivo quanto quelli di partenza” (p. 241). Tocca a loro, a chi resta, “un ruolo decisivo per la riuscita, o meno, del progetto migratorio” – “le odierne «famiglie transnazionmli»…. esistevano già cento anni addietro”: nell’organizzazione familiare, nell’investimento dei risparmi (le rimesse).

I primi migranti erano donne. Lavandaie, tessitrici, ricamatrici, collaboratrici domestiche. Dalle campagne alle città, anche remote: “lavoratrici del settore domestico, «femminilizzatosi» dopo la prima metà del Settecento a causa dei processi di industrializzazione che assorbono manodopera maschile”. Le balie migrarono a lungo ache all’estero, al Cairo, ad Alessandria d’Egitto – e in Nord Africa e nel Vicino Oriente. E quando emigrano gli uomini, nel secondo Ottovento, “le donne assumono vasti compiti di supplenza” –con i figli, nei campi,dal notaio, in banca, all’anagrafe e per ongi atto publico. Uno scrolloe alla logica protofemminista dell’asservimento, più o meno volontario: basta scavare. L’ottica rivendicazionista si salva meglio accertando la verità dei fatti.

Gissi salva pure la famigerata “donna del Sud”, che nel linguaggio anglossasone connota l’italianità, “lo stereotipo associato lungamente alle donne italiane emigrate negli Stati Uniti, e alla donne italoamericane di seconda generazione” (244). Di fatto le donne sono al centro del progetto, non solo in casa, ma anche nel quartiere: “Sono, di fatto, le reti femminili a strutturare l’aggregazione parrocchiale, la creazione di società caritative e di mutuo soccorso, l’attivazione di fome di solidarietà e protesta in tempi di crisi”. O anche, in chiave rivendicazionista, è sempre un bilancio “talvolta emancipatorio, se non liberatorio” che Gissi trae dalla sua disamina, “rispetto ai contesti originari opprimenti per controllo familiare, sociale e una normatività verso cui cresce l’insofferenza” (250).

La curatrice ricostruisce le attività e responsabilità delle donne nelle guerre, “arte” per eccellenza maschile. In ruoli non combattenti in Italia, in fabbrica e nei campi, in aggiunta ai lavori tradizionali di accudimento. E non può mancare la storia del delitto d’onore, e del matrimonio riparatore, di cui l’Italia si è liberata a fatica in ritardo – due istituti di fatto aboliti dalle donne, giovani – nella ricostruzione di Laura Schettini. Pescarolo fa la storia, paradossale, buffa, se non fose pericolosa e anche un po’ tragica, del “declino del lavoro” come valore, in quanto retribuzione e come apprezzamento sociale, al culmine del “«trentennio glorioso» dei diritti”, cioè con l’avvento della globalizzazione. Culmine che aveva coinciso, va rilevato, con l’esaurimento del primo centro-sinistra, che il diritto di famiglia e lo statuto giuridico delle donne, in società e al lavoro, aveva rigenerato: manca del tutto, in questa storia, il contesto politico. Con l’eccezione del contributo di Anna Scattigno, “Le forme della fede: cristianesimo, femminismi, militanza”: il rinnovamento cattolico costante, anche in chiave femminile e femminista.

Enrica Asquez risuscita una gustosa pubblicistica (maschile) dell’economia domestica. Curioso l’assunto di Catia Papa, della donna militante da Assab e Massaua, all’origine dell’imperialismo italiano, fino alla fede per il Duce. Un  assunto patriottico, bisogna dire, che se finisce nel fascismo, è stato alimentato dalla sinistra, crispina, e poi interventista. Un’altra curiosità Papa individua, nella politica demografica del fascismo, delle nascite come potenza, come esito anche dell’eugenetica, che è di origine e ideologia laica, liberal. 

Paola Stelliferi abbozza una storia del femminismo – dei “femminismi”. Il ruolo femminile tradizionale, della donna-madre, Elisabetta Vezzosi conferma che viene letto sempre inadeguatamente, sui tempi, e sulle funzioni – anche oggi, che il declino demografico è diventato realtà.

La collettanea è a largo raggio. Con alcune sorprese. Vinzia Fiorino trova nel Lombardo-Veneto e in Toscana diritti delle donne che lo Stato unitario non riconoscerà: il voto amministrativo in entrambe le aree, la parità patrimoniale nel diritto di famiglia nell’Italia “austriaca”. Curioso (bislacco) il dibattito protratto sulla sessualità, nico contributo masschile, di Emmanuel Betta. Con Lombroso, Mantegazza, Aldo Mieli, “espulso dal partito Socialista perché «pederasta»”, Sibilla Aleramo. E con la partecipazione di più di un’atleta alle gare sportive maschili: ciclismo (Alfonsina Morini in Strada), motociclismo (Ettorina Sambri, testimonial della moto Borghi).

Silvia Salvatici (a cura di), Storia delle donne nell’Italia contemporanea, Carocci, pp. 367 € 27

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