Si chiamano gigayacht se superano la lunghezza di un campo di football americano, 109 metri, “oltre 250 piedi” – “The New Yorker”.
Nel 2021 se ne sono costruiti nel mondo
887, il doppio dell’anno prima. Mille sono in costruzione.
Sono il segno odierno dell’opulenza – sottintendono
patrimoni di almeno un miliardo di dollari. Ma sono yacht solo perché hanno una
ciurma, e galleggiano: si muovono poco, solo per farsi vedere. D’estate dalla
Florida vanno nel Mediterraneo, Montecarlo, Sardegna, Forte dei Marmi, Ibiza.
In Italia è stato sequestrato, in base alle sanzioni anti-Russia, lo “Scheherazade” di
Alexei Mordashov, 459 piedi – ma non conta solo la lunghezza, tutti hanno
sette-otto ponti.
Il “New Yorker” ha fatto un’inchiesta a
Palm Springs e Montecarlo, residenze dei ricchi. E nei cantieri italiani,
specialmente richiesti per questi “natanti”, sia per lo scafo in qualche modo “esclusivo”
che per gli interni. Il boom, dice la rivista, cominciò nel 1998, quando un
Roman Abramovich giovane comprò il “Sussurro”, di seconda mano, perché era
velocissimo (ogni bullone era stato testato prima del montaggio) oltre che
grande. Oppure dal 1980. Dal “Nabila” del riccastro saudita Kashoggi – che quando
fu imprigionato (poi fu assolto) dovette venderlo, e il compratore fu l’immobiliarista
americano Donald Trump, che lo ribattezzò “Trump Princess”.
I gigayacht sono il segno in voga della
ricchezza, dopo – in questo dopoguerra – il Rinascimento italiano, la FFF, Fine
French Furniture, mobilio francese d’epoca, e l’aeroplano. Poco o affatto utilizzati
– sono, si direbbe, le Versailles dei nuovi ricchi, centri di esposizione.
L’autore dell’inchiesta prova a rispondere
alla curiosità che più di tutto lo ha mosso: come mai persone che fanno della segretezza
una seconda pelle, vogliono esporsi così. Ma non dà la risposta.
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