Un romanzo “borghese”, di chiacchiere, affari e corna, in una città di mare senza mare ma di commerci, tra poeti, scrittori, giornalisti, pittori, grandi avvocati, e commercianti giovani e avventurosi, loro sì. Nient’altro accade che le loro conversazioni, al caffè - “tutti insieme «abitano» il caffè”, e “in questa città non è possibile incontrare le persone in casa, stanno sempre al caffè” – con qualche gita in mare, e le case in campagna, dover non vanno. L’unico filo è una borsa di studio governativa che i più giovani si contendono, i pittori e i poeti, spiantati, mantenuti, l’uno quindi contro l’altro, ma senza animosità. Nemmeno negli adulteri, quelli consumati e quelli respinti. La seconda parte si intitola “Le cose maturano”, ma di poco o niente, un affare andato male (una speculazione fallita sulle granaglie russe… ), ma poi recuperato, e un paio di adulteri deboli, superficiali.
Si potrebbe
pensare la storia di due donne giovani e sventate. L’una moglie l’altra fidanzata,
di due giovani generosi e onesti commercianti, giudiziosi. Invaghite di poeti
da caffè, che le circuiscono per i soldi del marito e del fidanzato. Quindi
antifemminista? Nemmeno questo. Antiborghese, questo sì – il futuro hitleriano
nasce antiborghese, il primo di un filone, come avverrà di Céline, di Pound, di
Drieu. Ironico e non aggressivo, ma costante.
Un diverso Hamsun,
non legato alla terra, né alla povertà. D’intreccio e linguaggio piano –
ripetitivo, inconsistente, insignificante - e non coinvolgente, Che palesemente
non approva lo stile di vita dei suoi intellettuali ma non lo dice, lo
rappresenta, in conversazioni interminabili non risolutive. A specchio
dell’egotismo di ognuno, per quanto minimo. A tratti anche dolente, come di
commiserazione per un mondo vuoto.
Ma è anche inquietante,
malgrado tutto: se non fosse datato, si direbbe di oggi. La politica è
indifferente, le donne insoddisfatte, e non sanno perché, e più spesso single,
si vive fuori, ognuno per sé, non c’è scambio nelle conversazioni. Si dice che
“in politica non bisogna mai perdonare, bisogna vendicarsi”. E gli scrittori,
specie i giovani, sono “avari, aridi e accorti”.
Si ripubblica, con
adattamenti lessicali, la traduzione del 1942, di Longanesi: Hamsun doveva
essere nell’Italia di Mussolini in guerra Gran Scrittore, se se ne traduceva
anche questa critica della dolce vita.
Un romanzo del
1893, a 34 anni, pubblicato a Copenhagen, tre anni dopo “Fame”, che aveva
consacrato Hamsun autore di successo. Un romanzo della borghesia intellettuale,
in una “città di mare” non nominata, ma Kristiania-Oslo per vari riferimenti. In
linea con quanto si produceva a Parigi nel cosiddetto Fine Secolo,
contemporaneo de “Il piacere” di D’Annunzio, della sua “Trilogia della rosa”.
Ma su tono ironico, seppure accennato, critico. Un romanzo “costruito”, che
mima la superficialità e vuotaggine del mondo che racconta. Impervio, non il
solito Hamsun che trascina, seppure col minimalismo: non apprezza, e anzi disistima il mondo che rappresenta, con a sola eccezione dei commercianti, ed è tutto dire.
Knut Hamsun, La
nuova terra, GM libri, pp. 317 € 18
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