mercoledì 27 luglio 2022

Giappone fatato

Gli zoccoli di legno? “Parlano, ogni zoccolo ha un suo suono” - “e può anche capitare che la folla si metta di proposito al passo”. Il jinrikisha, o kurumaya, il “cavallo umano” che lo porta a spasso alla stanga, parla col sudore, e anche con l'atto di detergersi. E i piedi, i “piedini”, non deformati dalle scarpe? E i caratteri grafici - pitture, miniature: allegri, chiassosi, malinconici, pensosi? E i fiori di ciliegio naturalmente, così vaporosi e così fitti e spessi, una neve, un cuscino.
Lafcadio Hearn, e con lui oggi Ottavio Fatica, il curatore, condividono l'entusiasmo fine Ottocento per il Giappone. Tutti, si dice lo stesso Hearn al primo giorno in Giappone, ne hanno l'impressione di “un paese fatato”, e di “un popolo fatato”. Due iamatologi entusiasti, senza riserve. Anche se di niente, di un Giappone che non esiste da tempo, già da allora.
Finendo il primo giorno di visita su e giù per Yokohama trascinato dall'uomo cavallo, Heran ha infine la visione di Budda. Nel recesso più segreto del santuario. È uno specchio, brunito. E viene da pensare a quanto Borges era già qui, in questi “Glimpses of unfamiliar Japan”, d a cui la plaquette è tratta. Fatica, che condivide anche gli entusiasmi buddisti, richiama opportunamente San Paolo: “Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem” – ogni tanto ci guardiamo allo specchio.
Con qualche preziosità del curatore – toscanismi? L'asserpolìo. L'illusione “spare”. Se non sono sviste: “I giapponesi battono le mani per far venire gli inservienti” - o non sono gli occidentali?
Lafcadio Hearn, Il mio primo giorno in Giappone, Adelphi, pp.74 € 5
 

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