Il
secondo e ultimo giallo dell’autore ignoto che aveva affascinato Sciascia (“il
suo editore americano non conserva più traccia di lui nei suoi archivi”, dice
il risvolto). Un po’ tirato come plot:
la storia viene svolta da un registratore, uno dei primi quando Holiday Hall
scriveva, nel 1954, rimasto accesso nel momento topico, che ogni tanto si
rimette in funzine da solo e rivela nuovi particolari. Ma efficace ritratto di
Vienna occupata, nel momento in cui la guerra fredda si rinfocola, con la
guerra di Corea. Dell’Austria divisa tra zone di occupazione, degli austriaci
ridotti alla sopravvivenza, nel mezzo della borsa nera, degli odii che vanno al
di là della politica, per le diverse esperienze fatte in guerra, o dopo come
prigionieri di guerra, proprie o di figli e amanti, alcune ammirative altre
ostili.
Questo
soprattutto: Holiday Hall trova il modo – è il leitmotiv – di far capire che
l’occupazione non è liberazione: non è gradita e non dà benefici, al contario
di come gli Stati Uniti e l’Europa hanno fatto nel Millennio. C’è anche la
Russia che dovremmo e non conosciamo: nel ’45 i russi avevano preparato
un’armata per marciare su Vienna, “l’avevano istruita, le avevano detto come
comportarsi”, poi l’armata dovettero dirottarla su Budapest, liberazione più
difficile del preventivato, e a Vienna finirono “truppe mongole che non
conoscevano nulla del mondo che stavano conquistando”.
Non
è la sola novità. C’è già la moglie giovane del diplomatico americano attaccata
alla bottiglia.
E,
soprattutto, la tecnica di scrittura del giallo messa a nudo: creare l’attesa
(suspense) macinando parole – “ingannare l’attesa”: arrivare ai “fatti”, che
poi sono uno, chi è il colpevole, parlando d’altro.
Geoffrey
Holiday Hall, Qualcuno alla porta,
Sellerio, pp. 276 € 12
Nessun commento:
Posta un commento