astolfo
Jörg Lanz von Liebenfels – Un
monaco cistercense austriaco, divenuto occultista neopagano, ideatore della “ariosofia”,
la saggezza ariana, e della “teozoologia”, fondatore di un Ordine dei Nuovi
Templari (Ordo Novi Templi), di cui Strindberg fu membro – 1874-1954. Fu anche
l’ideatore della bandiera con la svastica rossa su fondo nero, che fece issare
per la prima volta il giorno di Natale del 1907, nel castello di Werfenstein. Ventisei anni
dopo, il giorno di Natale del 1933, completava il saggio “Il primordiale dio
elettrico e il suo grande santuario nella preistoria”. Un a plaquette che in copertina
sintetizzava il tema: “Contenuto: gli «dei» non sono altro che essere preumani
elettricamente organizzati («elettrozoa»),
la riscoperta di Dio attraverso la radiologia e la sierologia”, etc, per un’altra
ventina di righe.
Marchese Monaldeschi – Giovanni Rinaldo Monaldeschi della Cervara (1626-1657), un figlio naturale del marchese della Cervara di Acquapendente, fu a 26 anni in Svezia, su invito di un nobiluomo con cui era forse imparentato, il conte Magnus Gabriel de la Garde. Il conte era il favorito della regina Cristina di Svezia, che però lo sostituì col nuovo arrivato italiano, so coetaneo.
Monaldeschi fu il favorito della volubile
regina per almeno cinque anni, da lei incaricato di missioni diplomatiche in
Polonia e in Italia, quindi con lei a Roma quando la regina si convertì al
cattolicesimo, abdicò e si stabilì presso il Vaticano. E successivamente in Francia,
dove Luigi XIV e il cardinale Mazzarino le aprirono il castello di
Fontainebleau. Nel trasloco Monaldeschi aveva avuto una relazione con una donna
francese – rimasta ignota. A Fontainebleau decise di rompere questa relazione e
la donna per vendetta mandò le sue lettere alla regina Cristina. La regina non reagì:
aveva un nuovo favorito, il capitano della guardia Ludovico Santinelli,
presunto conte di Pesaro, ballerino, acrobata, fratello dell’alchimista Fanecssco
Maria Santinelli. I fratelli Santinelli, secondo gli storici, abusavano della
regina. E Monaldeschi, nel tentativo di recuperare le posizioni perdute provò a
metterli in cattiva luce, accusandoli di essere all’origine di lettere chiacchierate
sulla regina. Ma i Sentinelli riuscirono a dimostrare che non era vero. La
regina, infuriata anche dalle lettere dell’amante abbandonata di Monaldeschi,
lo fece arrestare e lo fece immediatamente giustiziare. Lo affrontò
personalmente per decretarne la morte, nella Galerie des Cerfs a Fontainebleau.
Monaldeschi fu ucciso a colpi di spada, vibrati dalla stessa regina?, morendo
dissanguato dopo lunga agonia.
“La crudele folle che assassinò
Monaldeschi” Voltaire dice la regina Cristina scrivendo a D’Alembert l’8 marzo
1773 – D’Alembert aveva trattato la storia in un “Dialogue entre Descartes e Christine”.
Katyn – La strage di Katyn, nei boschi presso Smolensk, degli ufficiali polacchi prigionieri dei russi nella guerra nel 1939, è stata a lungo il segreto più noto del dopoguerra. Ancora nel 1975 il governo britannico diceva no all’erezione di un monumento alle vittime di Katyn, tra Kensington e Chelsea, vicino la chiesa di san Luca – spiegando che bisognava attendere il 1987, quando quarantacinque anni erano passati dai fatti. Che non erano controversi, la verità era agli atti dal ‘43. Goebbels li aveva registrati nei suoi diari. Ma si faceva finta di credere che la strage fosse stata opera degli stessi nazisti e non dei russi, anche se si era svolta presso Smolensk, dove erano confinati gli ufficiali e graduati polacchi, e le guardie carcerarie, prigionieri dell’Armata Rossa. Il governo polacco in esilio a Londra l’aveva accertato quasi in contemporanea, malgrado le censure imposte dal governo britannico. L’eccidio fu provato anche a Norimberga, ma il tribunale evitò di prenderne atto.
Furono deportati, quasi tutti nel Kazakistan,
oltre quattrocentomila polacchi, ordinatamente divisi per categorie, ognuna
delle quali veniva arrestata in blocco in un solo giorno: un giorno i familiari
degli ufficiali, sessantamila, ai quali furono associate le prostitute, se ne
trovarono duecento, un giorno i rifugiati, settantacinquemila, ebrei tedeschi,
un altro i kulaki, i piccoli proprietari, e gli osadniki,
centoquarantamila. Gli osadniki erano i cosacchi polacchi: soldati assegnatari
di terre nelle regioni dell’Ucraina e della Bielorussia passate dall’Urss alla
Polonia dopo la sconfitta del 1920, per lavorarle e difenderle. Non si ebbero
fughe nel lungo viaggio, grazie alla collaborazione dei comunisti locali, fra
le tante stazioni della Transiberiana.
Era quello che Hitler aveva pensato per la
sua parte, la germanizzazione della Polonia svuotata dei polacchi, che però non
piacque a molti ufficiali del suo esercito. L’Armata Rossa invece aiutò Stalin,
non essendo più quella della marcia contro la reazione, e non ancora quella che
batterà il nazismo, ma quella che con Hitler si era divisa la Polonia. I suoi
uomini servirono da esecutori materiali, l’eccidio fu deciso e organizzato
dalla Nkvd, la polizia segreta, con la partecipazione di Krusciov (in Ucraina, sotto Krusciov, i
fucilati furono molti di più, ma le salme non si sono trovate). Sopravvissero a Katyn 448 prigionieri,
d’interesse speciale a giudizio della Nkvd, per essere antipatriottici, o
scienziati.
Le esecuzioni furono individuali, una tecnica
di risparmio che verrà copiata dai nazisti, per esempio a Roma nel ‘44, alle Fosse
Ardeatine. A uno a uno oltre ventimila prigionieri, esattamente 21.857, furono
uccisi con un colpo alla testa. Raro fu
l’impiego di due colpi. I recalcitranti furono finiti a colpi di baionetta, o
suicidi, con le mani legate a un cappio scorsoio attorno al collo. Armi e
munizioni erano tedesche, ma non per confondere le tracce, per economia. Erano
un vecchio stock di pistole e pallottole 7,65 Geco, di una ditta di Karlsruhe
che, rimasta senza ordini dopo la prima guerra, aveva cercato sbocchi in Russia
e in Polonia.
Furono usate pure le armi dei prigionieri.
Le baionette invece erano a quattro lati, in uso all’Armata Rossa. Era russa
anche la corda dei nodi scorsoi. Furono impiegati agenti e soldati sovietici,
alcune migliaia: Ci fu molto lavoro: uccidere, portare i cadaveri nelle fosse
comuni, spargerli di calce, coprirli di terra. Ma non rubavano l’oro ai morti,
le fedi e i denti: li repertoriarono quale demanio di guerra.
Gli esecutori si vogliono liquidati a loro volta dall’Nkvd.
Edgardo Sogno – Allievo ufficiale a diciassette anni alla scuola di Pinerolo, dopo gli studi liceali, sottotenete di cavalleria due anni dopo, fu ostile al regime fascista, e per questo rifiutato al concorso per la carriera diplomatica nel 1937, subito dopo la laurea a 22 anni in Giurisprudenza, allievo tra gli altri di Einaudi. Ma l’anno partì volontario per Franco nella guerra di Spagna, ottenendo anche una medaglia di bronzo al valore militare nella coda della guerra civile. Antifascista, si diceva, e anticomunista.
Louis
Untermeyer – Roberto Calasso (“L’innominabile attuale”, p. 10)
lo ricorda come premio Enit 1935 per un racconto che incoraggiasse il turismo.
È stato un poeta e critico letterario – Calasso riprende la notizia dalla
corrispondenza con Robert Frost, che si complimentava con l’amico Untermeyer. Insieme
col racconto di Untermeyer era premiata “una glorificazione di Mussolini in tre
volumi”.
Untermeyer, 1885-1977, poeta e saggista, autore di un centinaio di libri, era apprezzato umorista. Di famiglia ebraica tedesca, è stato politicamente sempre a sinistra, come polemista, giornalista e personaggio tv – finendo nel 1952 nel Libro Nero del senatore McCarthy, escluso dai programmi televisivi e praticamente impedito di pubblicare.
Vulcano
– Il pianeta che non c’era, illusione ottica.
Nell’Ottocento un famoso astronomo francese, Le Verrier, a seguito dei suoi
calcoli scoprì che qualcosa non funzionava nell’orbita di Urano: non si trovava
dove avrebbe dovuto. Ipotizzò che, secondo le leggi di gravitazione, ci doveva
essere lì accanto un altro pianeta che esercitava un’attrazione sull’orbita, e
immaginò anche dove questo potesse essere. Ne scrisse a un collega, che puntò
il telescopio sul punto dove i calcoli di Le Verrier dicevano che fosse, e lì
c’era: era Nettuno, come fu chiamato, un pianeta scoperto per mero calcolo
matematico.
Subito poi Le Verrier continuando i suoi calcoli
scoprì che qualcosa non andava anche con Mercurio. Ricalcolò il tutto, e giunse alla conclusione
che anche qui c’era un pianeta nascosto che interferiva sulla traiettoria. La
cosa fu resa nota, Le Verrier aveva ora una certa fama popolare, e un astronomi
dilettante in campagna scoprì il nuovo pianeta. Che fu chiamato Vulcano, perché
era vicino al sole, e quindi doveva essere “cotto”, come il dio dei Romani.
La caccia al pianeta nascosto divenne allora
mondiale, e molti videro Vulcano. Ma con un problema: era talmente piccolo che
si poteva vedere solo in momenti particolari, quando transitava il sole, o
quando c’era un’eclisse. Ma presto poi si scoprì che questo non bastava a
spiegarne le stranezze: non c’era un’osservazione uguale all’altra. Si diedero varie
spiegazioni, la più probabile sembrò che Vulcano fosse due, due pianeti con diverse
proprietà. Finché, dopo trent’anni, Einstein, con la sua teoria della relatività,
ipotizzò che l’orbita di Mercurio fosse bizzarra per effetto della gravità del
sole sulla luce: non c’era un pianeta Vulcano, ma un effetto cangiante di luce.
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