Ultimo racconto della “Storia dei Tredici”, la trilogia che comprende “Ferragus” e “La duchessa di Langeais”, la piccola serie giallo-gotica di Balzac, primi anni 1830, non ancora “Commedia umana”, ma l’agitarsi già frenetico di uno che si vuole un filosofo, e un autore di teatro. La storia c’è: una ragazza dagli occhi d’oro, una tigre, innamora un nobiluomo, e una serie di colpi di scena seguono. Per l’inevitabile allora incombere, più delle mafie nel giallume odierno, di una potente società segreta – potere e segreto vanno insieme: di “uomini abbastanza onesti da non tradirsi mai tra di loro, abbastanza diplomatici da dissimulare i legami sacri che li univano, abbastanza forti da mettersi al di sopra di tutte le leggi”.
Ma
il racconto si legge più per le venti pagine iniziali, un attacco retorico
molto costruito contro Parigi, paradigma dell’umanità inurbata che si agita senza
senso. Si capisce che Bertolucci ne sia stato attratto (l’edizione Garzanti è
tradotta da Attilio Bertolucci), anche per l’inventiva linguistica e sintattica:
una sfida.
Singolare
in questa lunga digressione iniziale la ricorrenza di termini e riferimenti che
si sarebbero pensati entrati nel lessico qualche generazione dopo, con Marx: operaio,
proletario, proletariato, borghese, borghesia, piccola borghesia, consumismo per
imitazione (“dispotismo dell’io lo voglio
aristocratico”). Con un residuo romantico, che anche questo si perpetuerà per l’Ottocento,
e oltre: “Questi uomini, nati senza dubbio per essere belli, perché ogni
creatura ha la sua bellezza relativa, si sono irreggimentati, dall’infanzia, sotto
il comando della forza, sotto il regno del martello, delle cesoie, della
filatura, e si sono prontamente vulcanizzati” – un vocabolo, questo, che
non avrà fortuna, ma diceva bene, di “Vulcano, con la sua bruttezza e la sua
forza”.
Honoré
de Balzac, La ragazza dagli occhi d’oro,
Garzanti, pp. LX + 128 € 9
Alia,
Ibs remainders, pp. 175 € 4,83
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