Un libro del 2011, un viaggio del 2010, che a p. 222, alla fine del viaggio, ha tutto quello che sarebbe successo a partire dalla Crimea poco dopo: “Se l’Ucraina smette di essere quello che è stata per secoli, cioè confine cuscinetto, per entrare in un’alleanza occidentale, succede il putiferio. Il paese, che è filo-russo a oriente, si spezza in due e allora Mosca interviene”.
Non è un saggio politico, è un viaggio lungo
il limes, il confine, tra la Unione Europea e l’Est, da Nord a Sud
– un viaggio “su una linea di periferia”. Ma lo è al fondo: che ce ne facciamo
degli Slavi è il leitmotiv sottinteso - forse anche inconscio, anche se Rumiz,
triestino, lo vive ogni giorno. Sono Europa sì, ma sono Occidente, sono realmente Europa? Certo che lo sono, ma,
è questo il problema: come li sentiano noi, con la nostra storia al più austro-ungarica,
per lo più latina e germanica. La stessa generosissima Ue, una sorta di casa
chiusa ben aperta, è però a questo riguardi a più piani, con alcuni ha più
confidenza, perfino rispetto. Senza contare la storia: “Dal Baltico all’Ucraina
l’Europa è tutta una necropoli, ancora da scoprire”.
L’Europa Rumiz va a scoprire da Nord a Sud, lungo questa linea di confine, non
detta ma ben reale. Un itinerario inconsueto, e anche difficile da seguire, per
scendere a volte di pochi chilometri bisogna viaggiare di bolina, per ore e
giorni. Ma un itinerario che Rumiz si è disegnato orgoglioso, e di cui fa il
perno dell’Europa – ora, si scopre, non senza ragione. Un viaggio comunque in
un’altra umanità. Meglio, insiste Rumiz, nell’umanità. A fronte del grigiore
europeo, da intendere Ue, solo animato dall’affarismo, con corredo di
corruzione e mafie – al punto da minacciare di metastasi l’Est.
Oggi forse Rumiz questo dell’Europa non lo direbbe più. Ma sa già che viaggia
lungo “una linea sismica solo apparentemente addormentata”. E non solo in
Crimea e nel Donbass, la metà ucraina che pensa russo. Con argomenti: “Non si
può pretendere l’indipendenza del Kosovo e poi non consentire l’autonomia
dell’Ossezia dalla Georgia”, Rumiz si fa spiegare dallo “studente ucraino di
Medicina, allegro e ben nutrito, capelli neri e lunghi come Gogol’”. Uno che gli
ha già prospettato la divisione dell’Ucraina. E la Crimea: “Poi racconta della
Crimea, che fino a ieri era piena di russi che andavano al mare e oggi non ha
più turismo perché”… - perché, la verità è, gli ucraini non vi si sentono a
casa: “Se ti piacciono i viaggi estremi”, lo studente sarcastico consiglia
Rumiz, “vai in Crimea. Le montagne sono ridiventate una
terra pastorale feroce, come una volta”.
A un certo punto uno si sorprende a pensarlo un viaggio, un diario, di
propaganda russa. Rumiz i russi trova anche i soli, o quasi, simpatici, ovunque
ci si imbatta, bonari, curiosi, ospitali - anche gli “armadi” reduci di qualche
guerra. Tutti in qualche modo di personalità spiccata, anche gli ignoranti – se
mai ci fossero ignoranti in Russia, improbabili dopo il sovietismo. Ma non è
questo che Rumiz racconta, benché slavofilo dichiarato. Del resto, la
sensazione che l’Europa senza la Russia è dimezzata non è particolare, né
“speciale”.
Un viaggio dunque nell’Europa dimenticata. Che Rumiz a naso sente, vanta, come
ultimo muro contro l’inettitudine globale, seppure votata anch’essa alla
scomparsa. “L’Occidente è il luogo dove lo sbadiglio regna sovrano”, si spiega
a un tratto, quindici anni fa non c’era nulla da raccontare. Senza la Russia
senz’altro: l’Europa germanica non ha nulla da dire, a parte le pacche sulle
spalle, e il bilancino della scienziata Merkel, del “troppo poco troppo tardi”.
E quella latina si è fermata a Grillo, si può aggiungere, e alla triade più
stupida che cattiva, altrimenti inimmaginabile, Sarkozy-Hollande-Macron: da
quindici anni segna il passo.
Gli ultimi bagliori Rumiz vuole raccogliere di mondi in via di sparizione, se
non già sepolti. E lo fa in compagnia di Monika Bulaj in qualità di fotografa e
interprete, preziosa per molti aspetti, di comunicazione, per la conoscenza
profonda della Russia, da polacca cresciuta dentro la cortina di ferro, e
dell’ortodossia russa, di cui è studiosa e trattatista, autrice di un “Gente di
Dio. Viaggio nell’altra Europa”. Con l’occhio clinico speciale cui l’ha
addestrata la fotografia, che trova a Rumiz molte soluzioni pratiche, per
l’ubiquità, la capacità di empatizzare con immediatezza e in profondità, con
un’occhiata, una battuta, un gesto, scoprendo così, dissotterrando, miniere.
“Grande”, è l’esordio, “l’anima del popolo slavo d’Oriente”. Segue un racconto
di avventure, anche minime, che però Rumiz sa compartecipare, dall’“iperborea Kirkenes
a Istanbul” - “il vero centro dell’Europa”, proprio così. Da letterato
“esperto” di confini, di un confine vero abitando Trieste, all’epoca di Schengen,
della falsa, superficiale identità comune: “Un viaggio borderline dal Mar Glaciale
Artico al Mediterraneo”.
Il titolo giusto sarebbe stato “L’Europa in
verticale” – lo suggerisce a Rumiz un romito russo, a Kola. Ma di fatto le cose
sono anche più complicate, come gli eventi ora mostrano. “L’Unione Europea è
alta mille chilometri più della sua larghezza”. “Vivendo al polo i fusi orari
si restringono tanto che basta fare un passo a destra o a sinistra per cambiare
longitudine; in questa contiguità di fusi, le ore si imbrogliano”: con la
Norvegia in mezzo, chi va dalla Finlandia alla Russia in 10 km. deve mettere
l’orologio insietro di un’ora e poi avanti di due. Le carte geografiche locali
non sono quadrate ma trapezi isosceli: è un mondo di diversità, imbricate.
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