mercoledì 20 luglio 2022

L’Europa divisa – che ne facciamo degli Slavi

Un libro del 2011, un viaggio del 2010,  che a p. 222, alla fine del viaggio, ha tutto quello che sarebbe successo a partire dalla Crimea poco dopo: “Se l’Ucraina smette di essere quello che è stata per secoli, cioè confine cuscinetto, per entrare in un’alleanza occidentale, succede il putiferio. Il paese, che è filo-russo a oriente, si spezza in due e allora Mosca interviene”.

Non è un saggio politico, è un viaggio lungo il limes, il confine, tra la Unione Europea e l’Est, da Nord a Sud – un viaggio “su una linea di periferia”. Ma lo è al fondo: che ce ne facciamo degli Slavi è il leitmotiv sottinteso - forse anche inconscio, anche se Rumiz, triestino, lo vive ogni giorno. Sono Europa sì, ma sono Occidente, sono realmente Europa? Certo che lo sono, ma, è questo il problema: come li sentiano noi, con la nostra storia al più austro-ungarica, per lo più latina e germanica. La stessa generosissima Ue, una sorta di casa chiusa ben aperta, è però a questo riguardi a più piani, con alcuni ha più confidenza, perfino rispetto. Senza contare la storia: “Dal Baltico all’Ucraina l’Europa è tutta una necropoli, ancora da scoprire”.
L’Europa Rumiz va a scoprire da Nord a Sud, lungo questa linea di confine, non detta ma ben reale. Un itinerario inconsueto, e anche difficile da seguire, per scendere a volte di pochi chilometri bisogna viaggiare di bolina, per ore e giorni. Ma un itinerario che Rumiz si è disegnato orgoglioso, e di cui fa il perno dell’Europa – ora, si scopre, non senza ragione. Un viaggio comunque in un’altra umanità. Meglio, insiste Rumiz, nell’umanità. A fronte del grigiore europeo, da intendere Ue, solo animato dall’affarismo, con corredo di corruzione e mafie – al punto da minacciare di metastasi l’Est.
Oggi forse Rumiz questo dell’Europa non lo direbbe più. Ma sa già che viaggia lungo “una linea sismica solo apparentemente addormentata”. E non solo in Crimea e nel Donbass, la metà ucraina che pensa russo. Con argomenti: “Non si può pretendere l’indipendenza del Kosovo e poi non consentire l’autonomia dell’Ossezia dalla Georgia”, Rumiz si fa spiegare dallo “studente ucraino di Medicina, allegro e ben nutrito, capelli neri e lunghi come Gogol’”. Uno che gli ha già prospettato la divisione dell’Ucraina. E la Crimea: “Poi racconta della Crimea, che fino a ieri era piena di russi che andavano al mare e oggi non ha più turismo perché”… - perché, la verità è, gli ucraini non vi si sentono a casa: “Se ti piacciono i viaggi estremi”, lo studente sarcastico consiglia Rumiz, “vai in Crimea. Le montagne sono ridiventate una terra  pastorale feroce, come una volta”.
A un certo punto uno si sorprende a pensarlo un viaggio, un diario, di propaganda russa. Rumiz i russi trova anche i soli, o quasi, simpatici, ovunque ci si imbatta, bonari, curiosi, ospitali - anche gli “armadi” reduci di qualche guerra. Tutti in qualche modo di personalità spiccata, anche gli ignoranti – se mai ci fossero ignoranti in Russia, improbabili dopo il sovietismo. Ma non è questo che Rumiz racconta, benché slavofilo dichiarato. Del resto, la sensazione che l’Europa senza la Russia è dimezzata non è particolare, né “speciale”.
Un viaggio dunque nell’Europa dimenticata. Che Rumiz a naso sente, vanta, come ultimo muro contro l’inettitudine globale, seppure votata anch’essa alla scomparsa. “L’Occidente è il luogo dove lo sbadiglio regna sovrano”, si spiega a un tratto, quindici anni fa non c’era nulla da raccontare. Senza la Russia senz’altro: l’Europa germanica non ha nulla da dire, a parte le pacche sulle spalle, e il bilancino della scienziata Merkel, del “troppo poco troppo tardi”. E quella latina si è fermata a Grillo, si può aggiungere, e alla triade più stupida che cattiva, altrimenti inimmaginabile, Sarkozy-Hollande-Macron: da quindici anni segna il passo.
Gli ultimi bagliori Rumiz vuole raccogliere di mondi in via di sparizione, se non già sepolti. E lo fa in compagnia di Monika Bulaj in qualità di fotografa e interprete, preziosa per molti aspetti, di comunicazione, per la conoscenza profonda della Russia, da polacca cresciuta dentro la cortina di ferro, e dell’ortodossia russa, di cui è studiosa e trattatista, autrice di un “Gente di Dio. Viaggio nell’altra Europa”. Con l’occhio clinico speciale cui l’ha addestrata la fotografia, che trova a Rumiz molte soluzioni pratiche, per l’ubiquità, la capacità di empatizzare con immediatezza e in profondità, con un’occhiata, una battuta, un gesto, scoprendo così, dissotterrando, miniere.
“Grande”, è l’esordio, “l’anima del popolo slavo d’Oriente”. Segue un racconto di avventure, anche minime, che però Rumiz sa compartecipare, dall’“iperborea Kirkenes a Istanbul” - “il vero centro dell’Europa”, proprio così. Da letterato “esperto” di confini, di un confine vero abitando Trieste, all’epoca di Schengen, della falsa, superficiale identità comune: “Un viaggio borderline dal Mar Glaciale Artico al Mediterraneo”.

Il titolo giusto sarebbe stato “L’Europa in verticale” – lo suggerisce a Rumiz un romito russo, a Kola. Ma di fatto le cose sono anche più complicate, come gli eventi ora mostrano. “L’Unione Europea è alta mille chilometri più della sua larghezza”. “Vivendo al polo i fusi orari si restringono tanto che basta fare un passo a destra o a sinistra per cambiare longitudine; in questa contiguità di fusi, le ore si imbrogliano”: con la Norvegia in mezzo, chi va dalla Finlandia alla Russia in 10 km. deve mettere l’orologio insietro di un’ora e poi avanti di due. Le carte geografiche locali non sono quadrate ma trapezi isosceli: è un mondo di diversità, imbricate.

Paolo Rumiz, Trans Europa Express,  Feltrinelli, pp. 231 € 18

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