La scrittrice Azar Nafisi, iraniana d’America, spiega a Viviana Mazza su “La Lettura” che “il miglior esempio della ribellione in Iran è il modo in cui per quatrant’anni le donne hanno opposto resistenza alla repubblica Islamica”. Mentre è vero il contrario, lo sanno e lo vedono tutti, ai venerdì e in ogni dove (tribunali politici, parlamento, piazze), che la massa d’urto degli ayatollah sono le donne, intabarrate, incappucciate, vociferanti, cattive. Sotto lo scià – l’epoca Nafisi non la dice ma è quella, prima degli ayatollah c’era lo scià - “le donne erano ministre, pilote, ingegnere, poliziotte”. Ma forse non gli piaceva. Si piegavano anche alla stretta di mano, che per una donna in Iran è una violenza.
Bisogna ripensare il ruolo della donna nell’insorgenza
islamica, per esempio in tutto il Nord Africa già laico, dopo l’Iran di Khomeini.
Conservatore e perfino reazionario: i regimi islamici, dall’Algeria all’Egitto
e forse pure in Afghanistan (o in Africa in paesi di grande storia come il
Senegal, o di grande affarismo come la Nigeria), sono stati e sono possibili per
la grande massa d’urto offerta dalle
donne.
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