La fine è della “Prima Repubblica”, o dell’assetto democratico, seppure debole, dell’Italia per un colpo di mano di un gruppo di giudici, napoletani di Milano, e dei giornali, sempre milanesi: un golpe all’insegna, non dichiarata, del leghismo (poi finito naturalmente nei torbidi, il partito più ladro d’Italia). La fine dal punto di vista americano, dell’ambasciata americana a Roma – “La fine della prima repubblica negli archivi segreti americani” è il sottotitolo. Archivi per la verità non segreti, non per la serie di documenti che Spiri ha potuto consultare, che sono i rapporti dell’ambasciata al Dipartimento di Stato, quelli ufficiali - quelli veramente segreti, se ne esistono, lo sono ancora. Non grandi analisi, avverte lo storico, i rapporti sintetizzano la situazione quale emerge dall’opinione pubblica italiana, dai media. Più o meno confermata da qualche conoscenza personale dei diplomatici (che però, va detto, fanno e facevano poca vita sociale).
I
dispacci sono tutti pro-Milano. I giudici sono stati ricevuti all’ambasciata,
dove hanno spiegato che faranno piazza pulita di tuti i partiti - mentre cancelleranno tutti i partiti eccetto i
loro, il Msi e il Pci. E più volte dal console americano a Milano, che li cerca
con insistenza. La sorpresa di questi dispacci è indiretta: la fine annunciata
della “Prima Repubblica” non 9turba l’ambasciata, anche se l’Italia è un alleato
e una base sensibile nel Mediterraneo. Le cronache vengono sintetizzate in
chiave simpatetica. Si parla di manifestazioni di popolo per i giudici, che
sono invece quelle che sono mancate – le “manifestazioni di popolo” sono l’imboscata
del Pci contro Craxi all’hotel Raphael.
Ancora
più strano è il distacco diplomatico considerando che la crisi politica si doppiava
con quella dell’ordine pubblico, con le stragi di Palermo – Riina leggeva i
giornali, o chi per lui, e sapeva cosa accadeva a Milano. Ma il collegamento che
l’ambasciata fa di queste due emergenze è importante: nessuno storico, per
tacere dei cronisti, lo ha rilevato e lo rileva, benché sia una lettera aperta.
Falcone
era conosciuto e apprezzato negli Stati Uniti, dal tempo del maxiprocesso. I
rapporti tengono quindi conto di Palermo. Ma più per il lato politico che
sembrava emergerne, di una qualche responsabilità di Andreotti.
Spiri
sembra fare differenza tra l’ambasciata della presidenza repubblicana, di
George Bush, fino al 1992, e quella democratica di Clinton, dal 1993. Ma l’ambasciata
americana a Roma in epoca Democratica è stata ben più interventista di quella
repubblicana: prima di Clinton, e dopo Kennedy-Johnson, ci fu quella di Carter,
il cui ambasciatore a Roma, lo storico diplomatico Gardner, 1977-1981, si agitò
molto e in fondo sconfisse l’alternativa di sinistra, un governo alternativo
alla Dc, con la partecipazione del Pci – Clinton porterà l’Italia addirittura a
dichiarare guerra, alla Serbia (non a dichiararla, a farla).
Andrea
Spiri, The End 1992-1994, Baldini +
Castoldi, pp. 236 € 18
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