sabato 30 luglio 2022

Niente libro senza editore

“Un buon editore è quello che pubblica circa un decimo dei libri che vorrebbe e forse dovrebbe pubblicare”: con questa chiusa Calasso ricostruisce per ampie campiture la storia di Adelphi e il carattere dell’editoria, o l’arte di pubblicare libri. Con l’esperienza dei suoi quasi cinquant’anni in Adelphi, a partire dai ventuno. I “libri unici” di Roberto Bazlen, con cui Adelphi ha debuttato, nel 1962, per per qualche anno ha vissuto. La riedizione-riproposta di Nietzsche per cominciare, con immane lavoro critico - e poi di molto Heidegger, di tutta o quasi Simone Weil, di C. Schmitt. Le copertine. I risvolti. La Grande Vienna scoperta dallo stesso Calasso che ha portato al decollo economico, con le grandi tirature: Joseph Roth sopra tutti, Karl Kraus, Lernet-Holenia, Canetti, Wittgenstein, e poi Bernhard. Le riscoperte: Savinio, proposto dalla figlia Angelica con la sua “Enciclopedia”, irresistible, commenta Calasso, cominciando con “abat-jour” e finendo con “zampironi”, Karen Blixen, Pessoa, rianimato da Tabucchi. Infine, sopra tutti, Simenon, anche lui rianimato e anzi portato al prestigio letterario, anche in Francia, dove era uno scrittore da edicola: approdato in Adelphi da Mondadori, dopo un paio d’anni di tentennamenti, per una lettera entusiasta del suo grande amico Fellini, e subito imposto al pubblico, sempre vastissimo (50 mila copie le tirature iniziali), da una recensione di Parise.
Una raccolta di testi di varia occasione, articoli, commemorazioni, conferenze, di lettura leggera e piena. Con un trattatello sui risvolti, dall’alto dei “millecento” da lui scritti (“1089 a oggi”). Con molti personaggi, l’elusivo Bazlen sopra tutti (“due persone “sono state determinanti nella mia vita: Robert Bazlen e Ingeborg Bachmann”, ma di Bachmann poi non c’è traccia). I ritratti di Giuio Einaudi, Luciano Foà (revisore di tutte le traduzioni di J. Roth, se le portava a casa, extra time, per rivederle e armonizzarle: c’è un J.Roth italiano, di Foà), Roger Straus, Peter Suhrkamp. E di Vladimir Dimitrievič, il serbo grande editore del mondo slavo in Francia, ma per Calasso più che un editore, e un amico, un altro sé stesso, uno che il mestiere di editore diceva di “traghettatore e giardiniere”.
Sul perché un libro viene pubblicato oppure no, Calasso non dà risposta. Ma sottintende che non c’è letteratura – e nemmeno storia, filosofia – senza editoria: una mediazione necessaria, con la stampa (accurata, del giusto carattere di stampa e formato, e con la giusta copertina – che può essere il lavoro maggiore dell’editore) e la promozione-distribuzione del libro. Se Manuzio non avesse stampato la “Hypnerotomachia”, o non in quella forma, la “Hyperotomachia”, il libro più bello mai stampato, oltre che primo romanzo moderno, di avventure, non esisterebbe.
Roberto Calasso, L’impronta dell’editore, La Repubblica, pp. 164 € 8,90

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