Niente libro senza editore
“Un buon editore è
quello che pubblica circa un decimo dei libri che vorrebbe e forse dovrebbe
pubblicare”: con questa chiusa Calasso ricostruisce per ampie campiture la storia
di Adelphi e il carattere dell’editoria, o l’arte di pubblicare libri. Con l’esperienza
dei suoi quasi cinquant’anni in Adelphi, a partire dai ventuno. I “libri unici”
di Roberto Bazlen, con cui Adelphi ha debuttato, nel 1962, per per qualche anno
ha vissuto. La riedizione-riproposta di Nietzsche per cominciare, con immane lavoro critico - e poi di molto Heidegger, di tutta o quasi Simone Weil, di C. Schmitt. Le copertine. I risvolti. La Grande Vienna scoperta dallo stesso
Calasso che ha portato al decollo economico, con le grandi tirature: Joseph Roth
sopra tutti, Karl Kraus, Lernet-Holenia, Canetti, Wittgenstein, e poi Bernhard.
Le riscoperte: Savinio, proposto dalla figlia Angelica con la sua “Enciclopedia”,
irresistible, commenta Calasso, cominciando con “abat-jour” e finendo con “zampironi”,
Karen Blixen, Pessoa, rianimato da Tabucchi. Infine, sopra tutti, Simenon, anche
lui rianimato e anzi portato al prestigio letterario, anche in Francia, dove era
uno scrittore da edicola: approdato in Adelphi da Mondadori, dopo un paio d’anni
di tentennamenti, per una lettera entusiasta del suo grande amico Fellini, e subito
imposto al pubblico, sempre vastissimo (50 mila copie le tirature iniziali), da
una recensione di Parise.
Una raccolta di testi di varia occasione, articoli, commemorazioni, conferenze, di lettura leggera e
piena. Con un trattatello sui risvolti, dall’alto dei “millecento” da lui
scritti (“1089 a oggi”). Con molti personaggi, l’elusivo Bazlen sopra tutti (“due
persone “sono state determinanti nella mia vita: Robert Bazlen e Ingeborg
Bachmann”, ma di Bachmann poi non c’è traccia). I ritratti di Giuio Einaudi,
Luciano Foà (revisore di tutte le traduzioni di J. Roth, se le portava a casa,
extra time, per rivederle e armonizzarle: c’è un J.Roth italiano, di Foà), Roger
Straus, Peter Suhrkamp. E di Vladimir Dimitrievič, il serbo grande editore del
mondo slavo in Francia, ma per Calasso più che un editore, e un amico, un altro
sé stesso, uno che il mestiere di editore diceva di “traghettatore e giardiniere”.
Sul perché un
libro viene pubblicato oppure no, Calasso non dà risposta. Ma sottintende che
non c’è letteratura – e nemmeno storia, filosofia – senza editoria: una mediazione
necessaria, con la stampa (accurata, del giusto carattere di stampa e formato, e
con la giusta copertina – che può essere il lavoro maggiore dell’editore) e la promozione-distribuzione
del libro. Se Manuzio non avesse stampato la “Hypnerotomachia”, o non in quella
forma, la “Hyperotomachia”, il libro più bello mai stampato, oltre che primo
romanzo moderno, di avventure, non esisterebbe.
Roberto Calasso, L’impronta
dell’editore, La Repubblica, pp. 164 € 8,90
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