Pasolini giovane, affamato e liberato
Il
libro forse più diretto - semplice, non artefatto – di Pasolini, creato postumo
raccogliendo qualche appunto e le collaborazioni giornalistiche dei suoi primi
anni a Roma, anni 1950, che però non si ristampa. Anna Magnani dal vivo. La
madre: “Com’è piccolina mia mamma, piccolina come una scolara, diligente,
impaurita, ma decisa a compiere fino n fondo il suo dovere”. Il mondo “borgataro” che poi sarà dei due
romanzi “di vita” visto con semplicità, come una cosa diversa. L’apprendistato
del romanesco, il “gergo a Roma”, un po’ ferroso, rigido – e tale rimarrà in
effetti nei romanzi: quello di Trastevere, a cui lui lo imputa, è piano,
invitante, non irto come lo fa Pasolini. Il debito pagando al “portentoso Gadda”
– col quale, arriva a dire, “non senza
orgoglio, condivido per analogia – e forse proprio per affinità elettive, se
non con nemmeno un centesimo delle facoltà naturali”, “l’incontro col Belli”.
La
propensione è ancora non rimossa per i pisciatoi pubblici e i calzoncini sopra
il ginocchio dei ragazzini: gli anni erano censori, ma Pasolini non se ne
faceva una colpa, non ancora, come se esercitasse la paideia greca, l’educazione dei ragazzi attraverso l’intimità. Il
tema principale è da subito, 1950, all’arrivo in città, quello dei “pischelli”.
Molte
scenette poi di genere, con i “pischelli” e senza, a Roma anni 1950-1960. Roma
è il tema principale, già in quegli anni – Scalfari e “l’Espresso” ne
contestavano i titoli di capitale, insieme con Antonio Cederna e altri
lombardi. Pasolini sa di che si tratta: “Roma è sicuramente la più bella città
d’Italia – se non del mondo. Ma è anche la più brutta, la più accogliente, la
più drammatica, la più ricca, la più miserabile”. È la città del cinema.
Sono
le prime prove, se si vuole, del genere prima pagina che imporrà Pasolini sul
“Corriere della sera” vent’anni dopo, di “cose
viste” alla Victor Hugo. Ma con
più pienezza di sé, malgrado le difficoltà economiche, e senza violenza. C’è
perfino un “pezzo” sul fenomeno dei “romanisti” e dei “laziali”, gustoso,
come vissuto dal di dentro di queste strane psicologie. E c’è già la maniera,
per i funerali di Di Vittorio.
Il
primo trattamento di “La ricotta” è per un Totò ricco capitalista, furbo, che tutto
vede e antivede, detto Mater Danarosa, che finirà tra gli stracci per amore
della Bambina Stracci, la figlioletta dell’uomo, una comparsa di cinema, di cui
è detto che è morto in croce per fame, per indigestione di ricotta.
Pier
Paolo Pasolini, Storie della città di
Dio
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