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Aborto – Si dice, si vuole, un fatto di libertà, non un
“diritto”, come se ci fosse una differenza. Si vuole forse distinguere perché
l’“età dei diritti” appare ora ripetitiva e forse eccessiva, e comunque “non
vende”, non entusiasma. Ma anche, in ambito di femminismo, per un distinguo non
opportunista. Dunque c’è uno spazio di libertà che non è un diritto. Ma sarebbe
il vecchio spazio della libertà, che libera fino a che non lede la libertà
altrui. In questo caso del feto, la creatura concepita. Sui cui termini temporali
e sostanziali di vita si dibatte all’apparenza interminabilmente. Ma si prende
questa libertà per come viene richiesta, di “aborto libero, gratuito e
assistito”. Che sbatte con la libertà non solo del nascituro ma anche del
medico funzionario pubblico. Il cui assunto e la cui funzione, ippocratei prima
che statali, sono di salvare le vite. Come libertà del corpo femminile, e non
come diritto, sempre femminile, l’aborto sbatte, in altre libertà - c’è la
pillola del giorno dopo, anche se non se ne può abusare, per le maternità
fortuite e indesiderate.
Filosofia – “La filosofia non è più nemica di Dio che dei re” (“Non
magis Deo quam regibus infensa est ista quae vocatur hodie philosophia”), il
tema di Eloquenza latina che il rettore della Sorbona dava a Natale del 1772,
in chiave anti-philosophes,
anti-illuminista, D’Alembert propone a Voltaire di trattare ironicamente a
propria difesa: “Quante cose buone da dire per provare che la filosofia non è
nemica né di Dio né dei re”.
Voltaire non
collaborerà – “alla mia età”… - perché, dice, se poi cambiano la traccia (basta
una parola, “non minus” invece che “non magis”), è lavoro sprecato. Il rettore
e il suo incerto latino davano non volendo molta materia, e anche il terreno,
della filosofia.
Follia – Se ne trova (cerca) traccia in ogni minimo
inconveniente, anche solo dimenticarsi le chiavi di casa uscendo. Per un
“bisogno” di terapia psicologica che è un mercato, un bisogno creato – e spesso
non costa. Ma anche per una insicurezza crescente, malgrado il benessere
diffuso e crescente in misura senza precedenti per tutto il mondo, e la grazia
di un periodo eccezionalmente lungo di pace “mondiale”, le guerre limitandosi a
episodi regionali e di durata limitata. Per l’incertezza che nasce non da un
rischio accresciuto ma dalla mancanza di fede, in senso religioso. Per aver
risolto tutto nella ragione. Che non spiega tutto, e anzi poco – non è una
sistema, una “chiesa”, un “credo”: a un secolo abbondante dalle accertate
debolezze del positivismo ottimista e risolutore non se ne esce. Una ragione
peraltro che si barda di sciocchezze - a valle, o a monte, del “sostegno
psicologico”: occultismo, misticismo,
l’acquario, il fumo, le droghe. Si crede a tutto per non credere a nulla.
Natura – “Mens agitat molem”, lo spirito muove la natura, di
Virgilio, “Eneide”, VI, 727, lo spirito vivifica la materia, ha i suoi limiti,
riflette Voltaire, scrivendone a Condorcet, per lui personificazione dello
scienziato, il 19 novembre 1773: perché ci sono i Condorcet, e ci sono i
cialtroni. La natura in sé è meglio, o allora la “mens” virgiliana è dentro la
natura? “Credo la natura buona e saggia. È vero che fa talvolta dei passi
falsi, ma io non la credo né impeccabile né infinita. Penso che la sua
intelligenza ha fatto tutto per il meglio, e che in questo meglio c’è ancora
molto male”. La natura è intelligente, le sue “leggi” lo provano: “Mi è chiaro
che c’è dell’intelligenza nella natura, e che le leggi imposte ai pianeti, alla
luce, agli animali e ai vegetali non sono inventare da uno sciocco”.
Postumano - Il vero postumano sarebbe pre-socratico, il ritorno
all’Immortale Principio – l’Assoluto Unificatore - di Talete, Anassimene,
Pitagora, Eraclito, Anassagora. Nulla di nuovo, se non il vagare incerto, tra
un’ecologia di cui non s’intende il fatto sottostante, industriale,
affaristico, e pensieri il più possibile esoterici, quasi sempre non nuovi,
stagionati, inverati (analizzati) già il massimo, giusto riverniciati.
L’uomo è misura di
tutte le cose, anche del postumano evidentemente.
Solitudine – È massima nella folla, si sa. E oggi nella connettività
– nel villaggio globale di McLuhan, nel “Truman Show”, il mondo in una bolla di
Jim Carrey. Niente più sguardi, incroci di sguardi, di uditi, di tatto, niente
più conversazione, scambi di parole e di ragionamenti, evocazioni, litigi
anche. Niente convivialità – non c’è pranzo, per quanto festoso o celebrativo,
in cui ognuno dei commensali non digiti sotto il tavolo. Niente vacanze, ponti,
week-end, gite, passeggiate. Non si passeggia più, solo motorizzati uconnessi –
oppure, se col contapassi come ha imposto il medico, con le cuffie alle
orecchie.
Niente scherzi. Si
vive soltanto nella connettività. Ora anche al lavoro, preferendo il remoto:
non c’era, non c’è più, colleganza accettabile.
Non si saprebbe
inventare una storia di passioni e sentimenti, risentimenti, non c’è attenzione
– non c’è interesse. E comunque non c’è il tempo, per niente, il mondo digitale
a stento lascia il tempo di dormire – male, digitare fa male al sonno: ai
arriva ala fine del giorno esausti, anche per la coscienza, greve, di non avere
digitato tutto.
Verità – Non ha vita lunga. Introdotta da Platone, via Socrate, peraltro “miglior sofista”, contro il Bene dei sofisti. La permanenza-continuità non è più divina, è umana.
Una breve storia potrebbe esserne questa. La ricerca precedente era del Principio Immortale: l’acqua di Talete, l’aria di Anassimene, il numero di Pitagora, la mente di Anassagora, il moto di Eraclito. Fino a Parmenide, il quale spiegò che il Principio Immortale non comprendeva l’apparenza, l’opinione che se ne faceva, per cui “il Buono e il Vero non sono necessariamente lo stesso”.
Socrate se ne può pensare un ascoltatore o un seguace – acuto certo, anche se già tortuoso, per essere ragionativo, apostolo e scudiero della verità. Eraclito ci riproverà col moto, ma Zenone, discepolo di Parmenide, dimostrerà che la percezione del moto come cambiamento è illusoria. Si è andati più avanti?
Viaggiare – “Nessuno mai viaggia così bene come chi non sa dove sta andando”, massima attribuita a Cromwell, variazione peraltro dell’aforistica più diffusa in materia, “non si va così lontano che quando non si sa dove si va”, o “non è importante la meta ma il viaggio”) dice bene la natura del viaggiare: la scoperta – anche del noto (riscoperta, “con altri occhi”). O giusto il movimento, il cambiamento, l’uscita dalla routine, per una sorpresa che può essere buona o cattiva (irrilevante o insoddisfacente, a fronte delle scomodità). La curiosità anima il tutto.
Virtù – La “virtù” di Machiavelli è l’areté greca, l’eccellenza, la capacità.
Il dovere verso se stessi anche – p.es. di Ettore che va alla guerra (alla
morte) malgrado le implorazioni della moglie Andromaca, in nome proprio e del
figlioletto Astianatte: “La tua forza sarà la tua distruzione”. E quindi una
forma fatale? Uno ce l’ha oppure non se la crea?
zeulig@antiit.eu
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