Una mattina del 1989, di “un martedì soleggiato a Londra”, una giornalista della Bbc di cui Rushdie si fa un cruccio ora di non ricordare il nome, a lui sconosciuta, senza nemmeno spiegare da chi ha avuto il suo telefono, linea riservata, lo chiama per chiedergli: “Come si sente uno che viene a sapere che l’ayatollah Khomeini l’ha appena condannato a morte?”
Era
una mattina qaualsiasi, il problema di Rushdie erano i rapporti con la moglie,
un matrimonio sbagliato, in crisi dopo appena un anno, che era lì con lui in
casa, un impegno con la Cbs per la tv del mattino, e il funerale di Bruce
Chatwin nella cattedrale ortodossa in tarda mattinata. Tutto naturalmente viene
sconvolto dalla notizia della condanna, il programma Cbs, che diventa una
diretta sul terrore, le mute dei giornalisti alla Cbs e sotto casa, che rendono
impossibile il ritorno, i pensieri della famiglia, in India, a Berkeley, e altrove
a Londra con la prima moglie, perfino il rapporto coniugale sembra prendere un’altra
strada. Solo il funerale è come doveva essere.
Il
settimanale ripubblica il racconto che lo stesso Rushdie aveva scritto dieci anni
fa del suo passaggio alla “morte civile”, pensando probabilmente di essere fuori dalla
minaccia: il racconto di come la condanna di Khomeini aveva cambiato la sua
vita è svolto in forma leggera, più ironica che drammatica, nella cifra di Rushdie.
Che probabilmente all’epoca pensava di averla scampata, e prova a svelenire. Chiedendosi se la condanna (fatwa) di Khomeini non sia stata generata
da un equivoco. “Il titolo del libro era stato sottilmente distorto dall’omissione
dell’iniziale «I». «I versetti satanici» era un romanzo. «Versetti satanici»
erano versi che erano satanici, e lui era il loro satanico autore”.
Il
testo della fatwa era però ed è
incondizionale: “Informo il prode popolo mussulmano del mondo che l’autore del
libro «Versi satanici», che è contro l’Islam, il Profeta e il Corano, e tutti
quelli implicati nella pubblicazione che erano a conoscenza dei suoi contenuti,
sono condannati a morte. Chiedo a tutti i Mussulmani di giustiziarli dovunque
li trovino”.
Volendo forse disinnescare la questione, Rushdie spiega in dettaglio come la storia dei versetti satanici nasce da uno studio di storia negli anni di università sugli inizi di Maometto come profeta, quando da mercante avveduto e fortunato prova a essere accettato dal notabilato di quella che sarà la Mecca - una città allora guardata e protetta alla porta da tre divinità femminili. I versetti sono quelli che Maometto porse ai notabili in un primo momento, in onore delle tre deesse - dopo il rifiuto dei notabili ci ripensera, e punterà su Allah, dio minore, sposo di una delle tre deesse, Al-Lat. Una storiella come tante, ma estratta dal canone (storie e storie) di Maometto: tutto qui, senza offesa (solo al piacere della lettura, non un gran romanzo)..
Salman
Rushdie, The Disappeared, “The New
Yorker” 10 settembre 2012, free online
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