“Ciò che è femmineo, ciò che discende da servi, e in particolare tutto l’intruglio plebeo… oh, schifo! Schifo! Schifo!”. Da “elevato” a “elevati”, a “uomini superiori” - uomini, non donne. È il verbo di Zarathustra, che a tratti si ricorda anche dell’“eterno ritorno”, checché esso sia, ma poco, il più delle quattrocento fitte pagine è per il Superuomo.
Zarathustra
è “un risvegliato”, Budda, che a trentasette anni, qualcuno più dell’età
canonica, rifà il Gesù dei Vangeli. Con la novella: “Io vi insegno il
superuomo!”, col punto esclamativo. Ecco, Zarathustra non è quello, è un altro,
il novello Superuomo (Colli e Montinari lo traducono in questa edizione col
minuscolo, ma in tedesco naturalmente è maiuscolo), “Zarathustra è il senza Dio”,
l’uomo nuovo, l’Elevato.
“Un
libro per tutti e per nessuno”: Nietzsche voleva con “Zarathustra” il suo Hauptwerk, il suo testo memorabile, e in
effetti: non si capisce molto, se non lasciar cadere le braccia. Beati gli insonni,
perché presto si appisoleranno. “Il creatore non voleva guardare se stesso, e
allora creò il mondo”, così parlò Zarathustra. Dalle “verità” infinite, interminabili.
Sofferenza, incapacità, stanchezza hanno creato “tutti gli dei e i mondi dietro
il mondo”. Con l’elogio dell’aristocrazia, al § “Del leggere e scrivere” – proprio
della nobiltà di censo e di corte: “Che a tutti sia lecito leggere, finisce per
corrompere non solo lo spirito ma anche il pensare”. Per arrivare al nobile Grillo
dei 5 Stelle: “Voi guardate verso l’alto, quando cercate elevazione. E io
guardo in basso, perché sono elevato”. Ma c’è così tanto “spirito” in questa
elevazione, non sarà troppo? E tutto questo è il Superuomo. Perbacco!
Non
si può scherzare con Nietzsche, che finirà pazzo. Ma prenderlo sul serio,
novello Zarathustra? “Nell’amore è sempre un po’ di demenza. Ma anche nella
demenza è sempre un po’ di ragione”. Nietzsche, si dice, è uno scrittore, epigrammatico.
Veramente è fatto valere come pensatore, rivoluzionario. Ma anche come
scrittore, “vaste programme”. Qualche volta, certo, ci azzecca, ha scritto
molti volume di battute a effetto. Non è un filosofo, usa ora dire. Da ultimo da
Sossio Giametta, suo alter ego, nonché traduttore in italiano, dove è stato
incoronato con l’opera omnia in edizione critica, in Italia e non in Germania,
col suo ausilio. Ma non c’è filosofia che ne faccia a meno. Soprattutto di
Zarathustra. Che uno allora prova a rivedere, dove ha sbagliato alla prima
lettura, e gli cascano le braccia: è peggio. Un ammasso di tutto e di niente,
un’esibizione di sapienza, del tipo nemmeno evangelico ma indiano (d’America,
pellerossa), “così parlò Zarathustra” come “augh! ho detto”.
Certo,
resta il mistero della “città detta «Vacca pezzata»”, su cui molto esegesi si è
fatta e si fa, mentre non è che Sils-Maria, allora semplice, e povero, alpeggio
di greggi in Engadina. Il luogo scelto per scrivere “Zarathustra”, il rifugio
prediletto prima di Torino, che lo porterà al deliquio e al delirio. Ma non
succede a tutti, non solo a Zarathustra-Nietzsche, “di saltare gli scalini” salendo
le scale, solo che non per questo uno “si elegge”.
Un
caso di solo contro tutti? Mai disperato però, sempre all’attacco, semmai troppo
pieno di sé. Con altri argomenti, è come leggere don Chisciotte, quella specie
di Brancaleone concettoso che s’inventava i nemici per inciamparvi dentro.
L’impressione è ineliminabile, da subito. Di Nietzsche errabondo, e solo contro
il mondo, anche fra i tanti che gli volevano bene e si facevano carico delle
sue bizzarrie, qualche volta ritraendosene spaventati, come Lou Salomé, Rée,
con Meysenbug, altri pazientando, fino alla fine, Köselitz-“Gast”, Rhode, il
buon pastore Franz Overbeck.
Molte
le parole famose - sentenziose: “Alcuni vogliono, ma i più sono soltanto
voluti”. Contro “l’amico di casa” di gratta memoria, da Hebbel a Heidegger. Dall’alto
della “elevatezza”: “Oh solitudine, tu patria mia, solitudine! Come a me parla,
tenera e beata, la tua voce!”, Contro la “voluttà”, per la “sete di dominio”.
Lo spirito è “uno stomaco guasto”. ”La volontà libera – perché volere è creare”.
Fustigatore di ogni debolezza, e anche del poeta. E perché il poeta? Perché “s’industria
ad accusare la vita con le parole” – come se “accusare la vita” non fosse alla
radice di Nietzsche-Zarathustra. “L’umo è il più crudele degli animali”. “Tutte
le cose buone si avvicinano ricurve alla loro meta: esse fanno la gobba come i
gatti”. Cioè: bisogna procedere guardinghi – oppure no, non è elevato? Apocalittico
anche, naturalmente – “Ti amo, eternità”.…etc.. Anche se, fra i tanti umori,
con qualche gustosa anticipazione. Sulla letteratura selfie: “Tutti parlano presso di loro, nessuno è più capace di intendere”.
E con qualche buon racconto tra le pieghe. Per esempio “Il mendicante
volontario”, che parla con le mucche – ce n’erano molte in Engadina allora.
Nietzsche
è, si sa, buon scrittore, anche ottimo – si fa leggere. Ma si (ci) trascina in
queste quattrocento fitte pagine in un gorgo di metafore, immagini, iperboli, ingiunzioni,
allusioni, sempre ultimativo, per non si sa bene che cosa. “Nietzsche e le donne”,
come si suol dire, naturalmente è il tema più ricorrente di questa annunciazione.
Che dire?, “La felicità mi corre dietro” è una massima delle meno praticate.
“Ciò avviene perché io non corro dietro alle femmine. Ma la felicità è femmina”
– beh, questa è inaspettata
Un
ampolloso calco dei Vangeli – “in verità, vi dico”, etc. “Dio è una
supposizione” è l’unica tesi-affermazione. Ma “Dio è un pensiero che rende
storte tutte le cose dritte”: chissà che vuole dire. E “volere libero”? Con
molte verità apodittiche, in serie, di effetto immediato, ma poi? “I rimorsi
insegnano a mordere”... Insomma, niente saggezza, di cui pure si vuole pieno –
un rivoluzionario pieno di saggezza? “Nel primo amico si deve onorare anche il
nemico” – anche qui, che vorrà dire? “Nel proprio amico bisogna avere anche il
proprio miglior nemico”. Intende forse sfidare il massimario di Schopenhauer (nello
scemenzario donne lo supera di sicuro, specie al § “Delle donne vecchie e giovani”,
ma a che fine - a parte il sorriso? “Per troppo tempo nella donna si è celato
lo schiavo e il tiranno”. È vero? Può essere, in qualche caso, anche in molti
casi, ma che “verità” è questa, da letto? “La donna non è ancora capace di
amicizia; gatte sono ancora le donne, e uccellini. O, nel migliore dei casi, giovenche”.
Un’opera
senza dubbio eccezionale, ma rilascia solo fumo (visto le rovine che presenta).
La volontà di potenza è l’ultimo punto del § “Della vittoria su se stessi”, un
esercizio personale di superamento.
Zarathustra
a un dato momento si ritrova solo in mezzo a frammenti di uomini, una grandissimo
orecchio, una gobba. Forse soffriva di vertigini?
La
nota editoriale spiega che “Zarathustra”, nato per caso, tra una raccolta di
aforismi e l’altra, come poema in prosa, con “l’esposizione della «dottrina» in
un tono tra il ditirambico e il biblico, fino a esiti di carattere lirico”. E
che “Zarathustra” è la composizione che più tiene Nietzsche occupato, dentro e
fuori di quanto poi è confluito nei quattro libri canonici che compongono il
trattato-poema, “La sezione «sentenze e intermezzi» di «Al di là del bene e del
male» si trova quasi interamente nei quaderni e taccuini di lavoro per lo
«Zarathustra»”. Lo stesso Nietzsche attesta, in “Ecce homo”, che “la parte conclusiva
fu compiuta esattamente nell’ora sacra della morte di Richard Wagner a
Venezia”, danzando, s’immagina, per la gioia. Dobbiamo leggere Niezsche come un
umorista nel profondo, un ironista incorreggibile? Il filosofo affaccendato come
Diogene nella botte se la rideva in realtà sotto i baffi?
Colli
ne parla in apertura come di un’opera drogata, “un ciceone” – il ciceone, orzo
triturato, acqua e menta, che ristora le dee è anche filtro amoroso di maghe
malintenzionate. Dev’essere una droga con la scadenza, perché è stantia. Colli
dice che è roba per iniziati: tutti possono partecipare alla festa (leggere),
“tutti i cittadini, senza distinzione di classi” (stiamo parlando dell’antica
Atene, della processione misterica da Eleusi a Atene), ma “pochi soltanto saranno
iniziati sino alla visione in cui culmina il rituale misterico”. Rileggendo l’introduzione
dopo i quattro libri di Nietzsche sembra un Colli arrampicato sugli specchi, scivolosi,
a disagio. “Il contenuto razionale di «Così parlò Zarathustra»”? “Spogliandolo
di ogni immagine e di ogni magia”, non della faticosa stilistica?, “ritroveremo
precisamente le stesse tesi, gli stessi giudizi che leggiamo in altre opere di
Nietzsche: valutazioni sul presente e sul passato, sulla religione e sulla
morale, perfino un’identica dottrina sugli affetti e sulle passioni”, solo il
superuomo non troviamo negli altri scritti, “ed è naturale, perché il superuomo
non è una dottrina, bensì un mito”. Nietzsche, incapace di filosofia, si voleva
creatore di miti: vaste programme? Colli continua, chiarendosi
le idee: “Se si vuole esprimere in termini concettuali il superuomo, si stringe
poco tra le dita, qualcosa di inconsistente, anzi qualcosa che suona ridicolo”.
“Canto
irridendo ogni compassione”. E poi? “Un libro per tutti e per nessuno” è il
sottotitolo, un redazionale ad effetto, questo sì.
Friedrich
Nietzsche, Così parlò Zarathustra,
Adelphi, pp.XVII + 414, 2 voll. € 16
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