venerdì 19 agosto 2022

Il ridicolo del Superuomo

“Ciò che è femmineo, ciò che discende da servi, e in particolare tutto l’intruglio plebeo… oh, schifo! Schifo! Schifo!”. Da “elevato” a “elevati”, a “uomini superiori” - uomini, non donne. È il verbo di Zarathustra, che a tratti si ricorda anche dell’“eterno ritorno”, checché esso sia, ma poco, il più delle quattrocento fitte pagine è per il Superuomo.

Zarathustra è “un risvegliato”, Budda, che a trentasette anni, qualcuno più dell’età canonica, rifà il Gesù dei Vangeli. Con la novella: “Io vi insegno il superuomo!”, col punto esclamativo. Ecco, Zarathustra non è quello, è un altro, il novello Superuomo (Colli e Montinari lo traducono in questa edizione col minuscolo, ma in tedesco naturalmente è maiuscolo), “Zarathustra è il senza Dio”, l’uomo nuovo, l’Elevato.

“Un libro per tutti e per nessuno”: Nietzsche voleva con “Zarathustra” il suo Hauptwerk, il suo testo memorabile, e in effetti: non si capisce molto, se non lasciar cadere le braccia. Beati gli insonni, perché presto si appisoleranno. “Il creatore non voleva guardare se stesso, e allora creò il mondo”, così parlò Zarathustra. Dalle “verità” infinite, interminabili. Sofferenza, incapacità, stanchezza hanno creato “tutti gli dei e i mondi dietro il mondo”. Con l’elogio dell’aristocrazia, al § “Del leggere e scrivere” – proprio della nobiltà di censo e di corte: “Che a tutti sia lecito leggere, finisce per corrompere non solo lo spirito ma anche il pensare”. Per arrivare al nobile Grillo dei 5 Stelle: “Voi guardate verso l’alto, quando cercate elevazione. E io guardo in basso, perché sono elevato”. Ma c’è così tanto “spirito” in questa elevazione, non sarà troppo? E tutto questo è il Superuomo. Perbacco!

Non si può scherzare con Nietzsche, che finirà pazzo. Ma prenderlo sul serio, novello Zarathustra? “Nell’amore è sempre un po’ di demenza. Ma anche nella demenza è sempre un po’ di ragione”. Nietzsche, si dice, è uno scrittore, epigrammatico. Veramente è fatto valere come pensatore, rivoluzionario. Ma anche come scrittore, “vaste programme”. Qualche volta, certo, ci azzecca, ha scritto molti volume di battute a effetto. Non è un filosofo, usa ora dire. Da ultimo da Sossio Giametta, suo alter ego, nonché traduttore in italiano, dove è stato incoronato con l’opera omnia in edizione critica, in Italia e non in Germania, col suo ausilio. Ma non c’è filosofia che ne faccia a meno. Soprattutto di Zarathustra. Che uno allora prova a rivedere, dove ha sbagliato alla prima lettura, e gli cascano le braccia: è peggio. Un ammasso di tutto e di niente, un’esibizione di sapienza, del tipo nemmeno evangelico ma indiano (d’America, pellerossa), “così parlò Zarathustra” come “augh! ho detto”.

Certo, resta il mistero della “città detta «Vacca pezzata»”, su cui molto esegesi si è fatta e si fa, mentre non è che Sils-Maria, allora semplice, e povero, alpeggio di greggi in Engadina. Il luogo scelto per scrivere “Zarathustra”, il rifugio prediletto prima di Torino, che lo porterà al deliquio e al delirio. Ma non succede a tutti, non solo a Zarathustra-Nietzsche, “di saltare gli scalini” salendo le scale, solo che non per questo uno “si elegge”.

Un caso di solo contro tutti? Mai disperato però, sempre all’attacco, semmai troppo pieno di sé. Con altri argomenti, è come leggere don Chisciotte, quella specie di Brancaleone concettoso che s’inventava i nemici per inciamparvi dentro. L’impressione è ineliminabile, da subito. Di Nietzsche errabondo, e solo contro il mondo, anche fra i tanti che gli volevano bene e si facevano carico delle sue bizzarrie, qualche volta ritraendosene spaventati, come Lou Salomé, Rée, con Meysenbug, altri pazientando, fino alla fine, Köselitz-“Gast”, Rhode, il buon pastore Franz Overbeck.

Molte le parole famose - sentenziose: “Alcuni vogliono, ma i più sono soltanto voluti”. Contro “l’amico di casa” di gratta memoria, da Hebbel a Heidegger. Dall’alto della “elevatezza”: “Oh solitudine, tu patria mia, solitudine! Come a me parla, tenera e beata, la tua voce!”, Contro la “voluttà”, per la “sete di dominio”. Lo spirito è “uno stomaco guasto”. ”La volontà libera – perché volere è creare”. Fustigatore di ogni debolezza, e anche del poeta. E perché il poeta? Perché “s’industria ad accusare la vita con le parole” – come se “accusare la vita” non fosse alla radice di Nietzsche-Zarathustra. “L’umo è il più crudele degli animali”. “Tutte le cose buone si avvicinano ricurve alla loro meta: esse fanno la gobba come i gatti”. Cioè: bisogna procedere guardinghi – oppure no, non è elevato? Apocalittico anche, naturalmente – “Ti amo, eternità”.…etc.. Anche se, fra i tanti umori, con qualche gustosa anticipazione. Sulla letteratura selfie: “Tutti parlano presso di loro, nessuno è più capace di intendere”. E con qualche buon racconto tra le pieghe. Per esempio “Il mendicante volontario”, che parla con le mucche – ce n’erano molte in Engadina allora.

Nietzsche è, si sa, buon scrittore, anche ottimo – si fa leggere. Ma si (ci) trascina in queste quattrocento fitte pagine in un gorgo di metafore, immagini, iperboli, ingiunzioni, allusioni, sempre ultimativo, per non si sa bene che cosa. “Nietzsche e le donne”, come si suol dire, naturalmente è il tema più ricorrente di questa annunciazione. Che dire?, “La felicità mi corre dietro” è una massima delle meno praticate. “Ciò avviene perché io non corro dietro alle femmine. Ma la felicità è femmina” – beh, questa è inaspettata

Un ampolloso calco dei Vangeli – “in verità, vi dico”, etc. “Dio è una supposizione” è l’unica tesi-affermazione. Ma “Dio è un pensiero che rende storte tutte le cose dritte”: chissà che vuole dire. E “volere libero”? Con molte verità apodittiche, in serie, di effetto immediato, ma poi? “I rimorsi insegnano a mordere”... Insomma, niente saggezza, di cui pure si vuole pieno – un rivoluzionario pieno di saggezza? “Nel primo amico si deve onorare anche il nemico” – anche qui, che vorrà dire? “Nel proprio amico bisogna avere anche il proprio miglior nemico”. Intende forse sfidare il massimario di Schopenhauer (nello scemenzario donne lo supera di sicuro, specie al § “Delle donne vecchie e giovani”, ma a che fine - a parte il sorriso? “Per troppo tempo nella donna si è celato lo schiavo e il tiranno”. È vero? Può essere, in qualche caso, anche in molti casi, ma che “verità” è questa, da letto? “La donna non è ancora capace di amicizia; gatte sono ancora le donne, e uccellini. O, nel migliore dei casi, giovenche”.

Un’opera senza dubbio eccezionale, ma rilascia solo fumo (visto le rovine che presenta). La volontà di potenza è l’ultimo punto del § “Della vittoria su se stessi”, un esercizio personale di superamento.

Zarathustra a un dato momento si ritrova solo in mezzo a frammenti di uomini, una grandissimo orecchio, una gobba. Forse soffriva di vertigini?

La nota editoriale spiega che “Zarathustra”, nato per caso, tra una raccolta di aforismi e l’altra, come poema in prosa, con “l’esposizione della «dottrina» in un tono tra il ditirambico e il biblico, fino a esiti di carattere lirico”. E che “Zarathustra” è la composizione che più tiene Nietzsche occupato, dentro e fuori di quanto poi è confluito nei quattro libri canonici che compongono il trattato-poema, “La sezione «sentenze e intermezzi» di «Al di là del bene e del male» si trova quasi interamente nei quaderni e taccuini di lavoro per lo «Zarathustra»”. Lo stesso Nietzsche attesta, in “Ecce homo”, che “la parte conclusiva fu compiuta esattamente nell’ora sacra della morte di Richard Wagner a Venezia”, danzando, s’immagina, per la gioia. Dobbiamo leggere Niezsche come un umorista nel profondo, un ironista incorreggibile? Il filosofo affaccendato come Diogene nella botte se la rideva in realtà sotto i baffi?

Colli ne parla in apertura come di un’opera drogata, “un ciceone” – il ciceone, orzo triturato, acqua e menta, che ristora le dee è anche filtro amoroso di maghe malintenzionate. Dev’essere una droga con la scadenza, perché è stantia. Colli dice che è roba per iniziati: tutti possono partecipare alla festa (leggere), “tutti i cittadini, senza distinzione di classi” (stiamo parlando dell’antica Atene, della processione misterica da Eleusi a Atene), ma “pochi soltanto saranno iniziati sino alla visione in cui culmina il rituale misterico”. Rileggendo l’introduzione dopo i quattro libri di Nietzsche sembra un Colli arrampicato sugli specchi, scivolosi, a disagio. “Il contenuto razionale di «Così parlò Zarathustra»”? “Spogliandolo di ogni immagine e di ogni magia”, non della faticosa stilistica?, “ritroveremo precisamente le stesse tesi, gli stessi giudizi che leggiamo in altre opere di Nietzsche: valutazioni sul presente e sul passato, sulla religione e sulla morale, perfino un’identica dottrina sugli affetti e sulle passioni”, solo il superuomo non troviamo negli altri scritti, “ed è naturale, perché il superuomo non è una dottrina, bensì un mito”. Nietzsche, incapace di filosofia, si voleva creatore di miti: vaste programme? Colli continua, chiarendosi le idee: “Se si vuole esprimere in termini concettuali il superuomo, si stringe poco tra le dita, qualcosa di inconsistente, anzi qualcosa che suona ridicolo”.

“Canto irridendo ogni compassione”. E poi? “Un libro per tutti e per nessuno” è il sottotitolo, un redazionale ad effetto, questo sì.

Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, pp.XVII + 414, 2 voll. € 16

 

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