“Amo tutto quello che amo”, diceva Colette, che possedette gatte,
cagnolini, duchesse e uomini barbuti. Per un motivo analogo Angelo Torretta,
di professione verduraio, non aveva creduto ai carabinieri, quando
avevano detto di averla trovata a Roma in una casa d’appuntamenti in un
seminterrato di via Sistina. Non ne parlarono nemmeno fra di loro. Evelina era
giovane allora, e il sesso si godeva nell’amore, non per soldi con estranei. Né
quando i carabinieri vollero farle un processo quale tenutaria di una casa in
via Boncompagni, dove arrivava ogni mattina dal paese ai colli. Evelina si
occupava all’epoca con cura di lui, che aveva battuto la testa cadendo sotto
un’auto sulle strisce, con l’assicurazione e con l’avvocato non solo, ma
accudendolo nelle ricorrenti stanchezze, senza mai una lamentela o uno scatto
d’ira, e stimolandolo anzi a nuove voglie.
Il
carabiniere Di Michele Angelo aveva ucciso perché i carabinieri in realtà insidiavano Evelina, la
accusavano per esserne stati respinti. L’aveva ucciso con la sua propria
pistola, del carabiniere. Il che conferma la strafottenza, quasi il senso di
possesso, che i carabinieri venivano a manifestare in casa sua. Con questa
argomentazione il verduraio Tor-retta confida che il giudice gli riconoscerà la
legittima difesa. Non l’ha avuta nei vari gradi di giudizio. Ma continua a
confidare in un altro giudice.
La donna è un continente sconosciuto, ha detto Freud, che ci ha fatto sopra una fortuna. Queste vicende sono tracce che vi si perdono.
Nessun commento:
Posta un commento