astolfo
Sirene – In origine erano terrestri. Uccelli a forma di donna, a simboleggiare probabilmente l’anima umana. Uccelli perché cantavano, e in forma di donna perché il canto femminile è melodico.
Quelle di Ulisse erano di questo tipo. Ma già sulla
via di diventare marine: al continente preferivano le isole, per essere più a
contatto col mare. Emersero dal mare con la coda di pesce ai tempi di Plinio,
che così le tratteggia. Ma nella lenta metamorfosi avevano illeggiadrito almeno
metà corpo, il collo sottile flessuoso, da fanciulla, i seni, le braccia ben
tornite.
Bona
Sforza – La milanese (1494-1557) figlia di Gian Galeazzo e
d’Isabella d’Aragona (figlia del re Alfonso II di Napoli), detta anche Bona
Sforza d’Aragona, fu regina di Polonia, sposando il re Sigismondo I, vedovo –
nipote a sua volta di Bianca Maria Sforza, che aveva sposato l’imperatore
Massimiliano I.
Nata a Vigevano, fu anche, per parte di madre, principessa di Rossano, in Calabria,
e “duchessa sovrana di Bari”, dove trascorse gli ultimi mesi di vita e dove è
sepolta (onorata da una associazione culturale Regina Bona Sforza) – nonché pretendente,
sempre a nome della madre, che si diceva erede dei Brienne, al regno di Gerusalemme.
Gli Sforza avevano già un intreccio con gli Aragona, opera del consigliere
ducale Cicco Simonetta, di Caccuri (Crotone): Isabella era figlia di Alfonso II
e Ippolita Maria Sforza.
A
Napoli e a Bari Bona era stata cresciuta e educata, la madre Isabella essendosi
allontanata da Milano poco dopo la morte del marito Gian Galeazzo, forse
avvelenato dallo zio Ludovico il Moro – che già in passato aveva tentato d’impadronirsi
del ducato, quando Gian Galeazzo, erede del titolo a soli sette anni, era in
realtà governato dal gran consigliere Simonetta. Negli anni d’esilio, Ludovico
il Moro era stato duca di Bari, negli ultimi venti anni del Quattrocento. Isabella
se n’era tornata a Napoli nel 1500, poco prima che il Moro morisse. E fra alterne
vicende ci rimase, Milano essendo stata pretesa come feudo personale dal re di
Francia Luigi XII, che a Isabella, malgrado manovre e promesse, non diede
affidamento che il ducato potesse essere restituito al suo figlio, Francesco
Maria Sforza. “Nel 1518, a 24 anni”, spiega wikipedia, “testimone la cugina
Vittoria Colonna, Bona sposava a Napoli nel Castel Capuano il re di Polonia
Sigismondo I; vedovo cinquantunenne di Barbara Zapolya”, figlia del conte
palatino d’Ungheria.
“Fece
in tempo a dare a Sigismondo I, non più giovane, sei figli”, racconta di lei
Wyslava Szymborska: “Non fu colpa sua se si trattò di quattro femmine e di due
soli maschi, dei quali soltanto uno rimase in vita”. E si preoccupò che il suo
unico maschio contraesse matrimonio con donna forte. Per questo obiettando al
disegno d’impalmare un’Asburgo per legare gli Jagelloni alla casa d’Austria:
Elisabetta d’Austria era soggetta dall’infanzia al mal caduco. Per la stessa ragione
non vide di buon occhio il terzo matrimonio del figlio con la sorella di
Elisabetta, anch’essa affetta dalla stesa malattia. Anche il secondo matrimonio
non andava bene, con Barbara, perché imparentava Sigismondo Augusto con l’ambizioso
clan dei Radziwill, e quindi lo assoggettava alle famiglie magnatizie, la rovina
della Polonia. Sigismondo Augusto aveva fatto incoronare a dieci anni, vivente
ancora il padre, senza chiedere l’approvazione di rito della nobiltà, per affermare
insoluto il diritto dinastico.
Per questo, per avversare l’invadente nobiltà polacca, non fu amata. Non si perse l’occasione di dire che aveva avvelenato le tre nuore. Le venne rimproverata – dalla nobiltà – la sua “diversità”, come fosse la prima principessa non polacca sul trono. Soggetto di molte storie e romanzi cattivi e cattivissimi. Si disse che aveva avvelenato anche Barbara Radziwill, la seconda moglie del figlio, morta giovane. Una cronaca sua contemporanea, redatta per maggior dileggio in italiano, riportava questo commento di Sigismondo alla sua prima notte con Bona: “Regina Bona attulit nobis tria dona: faciem pictam, vulvam non strictam et pecuniam fictam” - la vagina “non strictam” intendendosi non più vergine, mentre fra i 100 mila ducati della dote sarebbero state rinvenute molte monete false. Del suo primo amante, a Bari, Ettore Pignatelli, figlio di Alessandro Pignatelli, amante di sua madre Isabella, si disse che era morto avvelenato da lei quando si era rifiutato di seguirla in Polonia, e anzi si era sposato a Bari. La fecero anche un’affarista.
Aveva
lavorato per trent’anni alla potenza degli Jagelloni. Nel 1523 la Prussia era
divenuta tributaria della Polonia. Stipulò con l’impero ottomano un trattato di
pace vantaggioso, nel 1533. Migliorò i rapporti con la Lituania, che nel 1563 si
unirà alla Polonia, e con la Francia, in funzione antimperiale, anti-Asburgo.
Mentre sposava il figlio Sigismondo Augusto con una principessa d’Asburgo, Elisabetta
– figlia peraltro di una Jagellone, principessa polacca.
Lo
stesso tragitto, con ben altri esiti e forse con più determinazione, sarà
seguito qualche anno dopo Bona Sforza da un’altra principessa italiana, Caterina
dei Medici, regina di Francia.
Il
figlio non ne riportò le spoglie al Wawel di Cracovia, come le sarebbe toccato,
da regina, accanto al re suo marito.
Wandervogel
– Erano i Greta boys di un secolo fa, primo Novecento,
in Germania e in tutto il mondo germanico. Non occasisonali manifestanti, ma
aderenti a un’organizzazione.
I Wandervogel
erano i membri della Jugendbewegung, movimento fondato nel 1901 per stimolare
il ritorno alla natura e alla tradizione, il Volk etnico, e alla stessa giovinezza intesa
come valore. Tipicamente tedesco, il mito giovanile e quello della purezza etnica
legando alla natura, un “ritorno viziato” ai miti originari, dice Furio Jesi,
“tipico della moderna cultura borghese tedesca”. Fu subito popolare, specie al
Nord, e sarà fatto confluire dagli storici tra le fonti dell’ideologia
germanica, quella dei lutti.
I Wandervogel non erano
innocenti, cantavano l’avventura e la pirateria. Ma
furono anche ebrei: Walter Benjamin ne fece parte a Berlino, nel Club dei dibattiti,
al tempo in cui si ispiravano all’opera di Gustav Wyneken, Scuola e cultura della gioventù. I Wandervogel esercitarono
un’influenza riconosciuta anche su Blau-Weiss, il movimento della gioventù
ebraica di prima della grande guerra. Alla rivista Der Anfang, l’inizio, che proclamava la negazione radicale della
storia e il valore assoluto della gioventù, sulla scia di Wyneken, Benjamin
collaborò firmandosi Ardor. E per un periodo presiedette l’Associazione berlinese
degli Studenti Liberi. Wyneken, pedagogo, autore di opere rinomate sulla
riforma dell’insegnamento e sulla gioventù che furono all’origine dei Wandervogel,
è stato l’unico, tra i milioni di giovani uccelli erranti, a sopravvivere alle
due guerre e ai tre regimi infausti, a sopravvivere fisicamente, poiché ha percorso
tutta l’epoca di Adenauer.
La
natura è violenta. Anche gli Artamani, giovani nazionalisti d’ogni partito,
furono contrari all’alcol e alla nicotina e alla vita disgregatrice delle
città.
Il fiore blu fu il simbolo
dei Wandervögel - simbolo di lealtà, dirittura e salutismo.
Anche nell’alimentazione: i negozi “riformati” furono i primi a commerciare cibo
organico.
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