martedì 30 agosto 2022

Pasolini disinibito

In principio era una poesia del 1962, “Profezia”, la profezia degli sbarchi di immigrati, poi inclusa in “Poesia in forma di prosa”, concepita forse in conversazione a Roma con Sartre, a cui sarà dedicata, come al fondo di questa raccolta, con riconoscimento esplicito: “A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri”. Da cui il nuovo titolo della poesia, e di questa raccolta, ordinata dallo stesso Pasolini nel 1965.

È la prima raccolta dei suoi “racconti romani”, più meno rifiniti e utilizzati ma non pubblicati in volume, dal 1950 allo stesso 1965. Progetti di film, soggetti, idee, “trattamenti”, e alcune sceneggiature, non si sa quanto definitive, di film già realizzati: “Accattone”, “Mamma Roma” “La ricotta”. Con qualche progetto poi non sviluppato, come “Il Rio della Grana”. Sono tutti racconti visivi, dell’autore che guarda a distanza: di personaggi e figure a tutto tondo ma visti in piano e da lontano, raffigurati più che vissuti.

È una lettura curiosa, per tre motivi. È il laboratorio linguistico di Pasolini. Il suo avvicinamento, per molti anni, a una certa cultura popolare romana, fra Trastevere e qualche borgata (le borgate non erano tutte eguali), che si sente, si avverte, è come segnalata: Pasolini non fa l’autore immerso nella sua realtà romanzesca, piuttosto manierata, come poi nei due romanzi romaneschi, ma l’osservatore di una realtà. Curioso, simpatetico, ma distanziato. E questo, curiosamente, rende il suo romanesco più vero. Cioè non finto – melodrammatico – come nei romanzi: è il romanesco di un esterno, voyeur ingordo e attento, ma sempre voyeur. Ironico, ammirato, immaginativo. Ed è reale, ben più che nei romanzi, non manierato, e significante.

Il dialetto poi, già negli ultimi di questi scritti, Pasolini stesso ripudia - e il realismo a esso connesso. Ne denuncia l’uso artefatto, come di una lingua arcaica resuscitata, creazione dell’aborrita borghesia: lo dice “uso preborghese”, come di chi aspettasse in anticamera di essere ammesso.

Il terzo aspetto è il trattamento finalmente libero del corpo degli uomini, di cui Pasolini sarà stato, alla fine, il cantore. Nelle sue tante prose e nei tanti versi, come nei film, non solo quelli della “trilogia” Boccaccio-Chaucer-Mille e una notte. Dei maschi, di preferenza giovani ma anche in età, compagni di molteplici rapporti o anche di una sola volta. Il corpo giovane, in calzoncini di preferenza, brunito, nervoso, è il più medagliato. Ma anche il segaligno allampanato, il tardone, il femminista, la tipologia pullula a ogni riga. Gabbriele, trasteverino, che non tiene il conto di quanti se n’è fatti sotto il ponte Sisto, gode, con molti puntini di sospensione, “senza i suggerimenti dell’impudicizia creatrice….del passaggio da castità a castità… dell’anestesia, oltre che dell’anonimia, del sesso….”. Il racconto biografico di Pasolini lo vuole “diverso” e per questo sofferente, ma lui no, è anzi disinibito – sessant’anni fa era un’impresa.

Pier Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri Garzanti, pp.513 € 14,50

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