In principio era una poesia del 1962, “Profezia”, la profezia degli sbarchi di immigrati, poi inclusa in “Poesia in forma di prosa”, concepita forse in conversazione a Roma con Sartre, a cui sarà dedicata, come al fondo di questa raccolta, con riconoscimento esplicito: “A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri”. Da cui il nuovo titolo della poesia, e di questa raccolta, ordinata dallo stesso Pasolini nel 1965.
È
la prima raccolta dei suoi “racconti romani”, più meno rifiniti e utilizzati ma
non pubblicati in volume, dal 1950 allo stesso 1965. Progetti di film,
soggetti, idee, “trattamenti”, e alcune sceneggiature, non si sa quanto definitive,
di film già realizzati: “Accattone”, “Mamma Roma” “La ricotta”. Con qualche progetto
poi non sviluppato, come “Il Rio della Grana”. Sono tutti racconti visivi, dell’autore
che guarda a distanza: di personaggi e figure a tutto tondo ma visti in piano e
da lontano, raffigurati più che vissuti.
È
una lettura curiosa, per tre motivi. È il laboratorio linguistico di Pasolini.
Il suo avvicinamento, per molti anni, a una certa cultura popolare romana, fra
Trastevere e qualche borgata (le borgate non erano tutte eguali), che si sente,
si avverte, è come segnalata: Pasolini non fa l’autore immerso nella sua realtà
romanzesca, piuttosto manierata, come poi nei due romanzi romaneschi, ma l’osservatore
di una realtà. Curioso, simpatetico, ma distanziato. E questo, curiosamente,
rende il suo romanesco più vero. Cioè non finto – melodrammatico – come nei
romanzi: è il romanesco di un esterno, voyeur
ingordo e attento, ma sempre voyeur.
Ironico, ammirato, immaginativo. Ed è reale, ben più che nei romanzi, non
manierato, e significante.
Il
dialetto poi, già negli ultimi di questi scritti, Pasolini stesso ripudia - e
il realismo a esso connesso. Ne denuncia l’uso artefatto, come di una lingua
arcaica resuscitata, creazione dell’aborrita borghesia: lo dice “uso
preborghese”, come di chi aspettasse in anticamera di essere ammesso.
Il terzo aspetto è il trattamento finalmente libero del corpo degli uomini, di cui Pasolini sarà stato, alla fine, il cantore. Nelle sue tante prose e nei tanti versi, come nei film, non solo quelli della “trilogia” Boccaccio-Chaucer-Mille e una notte. Dei maschi, di preferenza giovani ma anche in età, compagni di molteplici rapporti o anche di una sola volta. Il corpo giovane, in calzoncini di preferenza, brunito, nervoso, è il più medagliato. Ma anche il segaligno allampanato, il tardone, il femminista, la tipologia pullula a ogni riga. Gabbriele, trasteverino, che non tiene il conto di quanti se n’è fatti sotto il ponte Sisto, gode, con molti puntini di sospensione, “senza i suggerimenti dell’impudicizia creatrice….del passaggio da castità a castità… dell’anestesia, oltre che dell’anonimia, del sesso….”. Il racconto biografico di Pasolini lo vuole “diverso” e per questo sofferente, ma lui no, è anzi disinibito – sessant’anni fa era un’impresa.
Pier
Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri
Garzanti, pp.513 € 14,50
Nessun commento:
Posta un commento