Quattro superbi racconti thriller, con un po’ di soprannaturale
(“Racconti dell’orrore” è il sottotitolo), coevi di Sherlock Holmes, di cui lo
scrittore cominciava a stancarsi. Eccetto il primo pezzo della raccolta, “Il
bravaccio di Brocas Court”, sul mondo violento della boxe in Inghilterra prima
della regolamentazione e subito dopo, che è invece del 1921, del tardo periodo
“spiritualista” di Conan Doyle, quando “vedeva” spiriti e fate - ma costruito anch’esso
con la nota gagliardia. “L’uomo che visse tre volte”, il saggio introduttivo del
curatore Sandro Roffeni, marcia anch’esso con lo stile Conan Doyle, tutto cose,
per una utile lettura biografica dello scrittore.
“Il pezzo n. 249” (“Lot No.
249”, già tradotto come “La mummia”) è l’unico racconto “soprannaturale” di
Conan Doyle – insieme con “Il capitano della Polestar”, non compreso in questo
volume. Ma è del suo primo periodo, sherlockholmesiano, 1892. È di fatto un
racconto “classico”, uno di quelli che, pur avendo prodotto numerosi
adattamenti, sia letterari che cinematografici, è sempre di grande lettura. “Il
demone dell’isola” (“The Fiend of the Cooperage”) è del 1897, in anticipo sulle
ambientazioni coloniali di Conrad e di Jack London. Il racconto più
inquietante, “John Barrington Cowles”, è del 1884, anch’esso coevo quindi del
primo Sherlock Holmes: modellato forse su un romanzo di Wendell Holmes,
scrittore che Conan Doyle ammirava, “Elsie Venner”, racconta il fascino
inspiegabilmente mortale di una figura femminile di rara bellezza. .
“Il pezzo n. 249” contiene
anche un autoritratto, nelle sembianze del protagonista, Abercrombie Smith,
studente di medicina come Conan Doyle è stato, e come lui appassionato di
cricket: “Con la sua bocca decisa, la fronte ampia, e i lineamenti ben marcati
un po’ duri, era un uomo il quale, se anche non possedeva un talento brillante,
era tuttavia così determinato, così paziente e pieno di energia che avrebbe
potuto alla fine superare un genio più eclatante. Un uomo che riesce a tenere testa
agli scozzesi e ai tedeschi del Nord non
è uno a cui si mettano facilmente le briglie” – C.D. era scozzese di nobile
famiglia irlandese. “Abercrombie Smith
era un uomo che era meglio non avere come nemico. Indolente e bonaccione,
diventava durissimo una volta spinto all’azione”.
Con molto umorismo sempre,
anche nelle situazioni truci. E con un inedito – ammesso ma poco tollerato in
epoca vittoriana – cameratismo maschile, fra studenti nelle residenze di Oxford
e nelle pensioni di Edimburgo: una volta due amici passeggiano a Edimburgo
“tenendosi a braccetto”, anatema a Londra e dintorni ancora negli anni 1960, esibizione
di un rapporto gay.
Arthur
Conan Dole, Il demone dell’isola,
SugarCo, pp. 125 € 7,23
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