La polizia americana tende a rubricare l’attacco contro Rushdie come un fatto isolato, da “lupo solitario”. Forse ai fini giudiziari, ma il tentato assassinio, previsto, prevedibile, è l’ultimo atto di una persecuzione mortale. Ordinata da Khomeini, reiterata da Khamenei, i due grandi ayatollah di un islam oscurantista che da quarant'anni tiene in ostaggio un paese di grande cultura e civiltà, l’Iran Rushdie è solo la punta dell’iceberg di un intero mondo di perseguitati dall’islam iraniano. In Iran: tantissimi gli intellettuali, oltre alle persone comuni, perseguitati, anche se buoni iraniani, anche se buoni islamici, perché non graditi a qualche ayatollah. E fuori – basti l’assassinio nel piazzale della Farnesina del buonissimo credente Hossein Naghdi, impunito perché attribuito al governo iraniano.
Su Rushdie era stata messa una taglia di 3,3 milioni di dollari. Non iraniana, per molti indizi. E qui entra in gioco la penisola arabica, ora baluardo del cosiddetto Occidente per il petrolio e il gas: principati, emirati e regni finanziano ogni sorta di attività in qualche modo connessa con la professione di fede islamica. Anche il terrorismo. Dapprima sicuramente Al Qaeda, agli inizi. Poi, e tuttora, il terrorismo in Africa, dalla Somalia al Senegal e alla Nigeria. Nei quasi cinquant’anni dalla prima crisi del petrolio, 1973, i nuovi ricchi della penisola arabica hanno speso moltissimo per conquistare all’islam l’Africa subsahariana: moschee soprattutto, qualche ospedale, qualche scuola, e molte spese ostensive, in favore dei notabili, dalle dimore di marmo con piscine ai cavalli del polo. In un quadro irredentista-sciovinista - la cosiddetta guerra santa è intesa (predicata) come risarcitoria. Dare la caccia a uno scrittore, per un romanzo non letto, per trenta e passa anni, e ucciderlo, provarci, questo non è religione.
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