“Una vita violenta” trent’anni prima
Singolare
anticipazione, nel nome del protagonista, nella condizione di lumpen (operaio
ridotto a barbone), violento per essere debole, debole e quindi sovrastato, e
nella fine comune, del Tommasino Puzzilli del secondo romanzo romano di
Pasolini, “Una vita violenta”. Con uso esteso anche qui del dialetto (torinese,
langhigiano) per i dialoghi e i pensieri del proletario, se non borgataro, Masin.
C’è perfino, anche se non diretta come in Pasolini, l’urgenza sessuale.
Questo di Pavese è
un romanzo di due Tommasi diversi, in quattordici racconti, in parallelo, sette
per uno - inframezzati da poemetti in versi, “blues”. Inedito, ritrovato in una
stesura definitiva con la data 9 febbraio 1932, pubblicato nel 1968 da Einaudi
nelle opere di Pavese, nel volume dei “Racconti”, e l’anno dopo in volume
autonomo, con una recensione di Geno Pampaloni nelle due bandelle a modo di
risvolto.
Un Supercorallo
che meriterebbe più fortuna. I due Tommasi sono, a specchio, più o meno
coetanei, con due esperienze di vita diverse. L’inurbato che vive la vita
disimpegnata dello studente, gite in baca, passeggiate, ragazze, discussioni di
sommi principi. E l’operaio di città che si licenzia per cercare fortuna in provincia,
finendo inselvaggito nelle campagne di Santo Stefano Belbo - dove Pavese è nato
e cresciuto.
Cesare Pavese, Ciau,
Masino
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