martedì 2 agosto 2022

“Una vita violenta” trent’anni prima

Singolare anticipazione, nel nome del protagonista, nella condizione di lumpen (operaio ridotto a barbone), violento per essere debole, debole e quindi sovrastato, e nella fine comune, del Tommasino Puzzilli del secondo romanzo romano di Pasolini, “Una vita violenta”. Con uso esteso anche qui del dialetto (torinese, langhigiano) per i dialoghi e i pensieri del proletario, se non borgataro, Masin. C’è perfino, anche se non diretta come in Pasolini, l’urgenza sessuale.
Questo di Pavese è un romanzo di due Tommasi diversi, in quattordici racconti, in parallelo, sette per uno - inframezzati da poemetti in versi, “blues”. Inedito, ritrovato in una stesura definitiva con la data 9 febbraio 1932, pubblicato nel 1968 da Einaudi nelle opere di Pavese, nel volume dei “Racconti”, e l’anno dopo in volume autonomo, con una recensione di Geno Pampaloni nelle due bandelle a modo di risvolto.
Un Supercorallo che meriterebbe più fortuna. I due Tommasi sono, a specchio, più o meno coetanei, con due esperienze di vita diverse. L’inurbato che vive la vita disimpegnata dello studente, gite in baca, passeggiate, ragazze, discussioni di sommi principi. E l’operaio di città che si licenzia per cercare fortuna in provincia, finendo inselvaggito nelle campagne di Santo Stefano Belbo - dove Pavese è nato e cresciuto.
Cesare Pavese,
Ciau, Masino

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