Gli affetti e le passioni soccombono,
come sempre, alla volontà del tiranno (lo Stato), ma questa non è arbitraria ed
è perfino ragionevole. Drammi e tragedie continuano a prodursi nel contrasto.
Tra la famiglia, che si radica nel divino, e il potere, che è contingente. Tra
gli affetti e l’interesse. Tra la dimensione personale e quella sociale.
La tragedia di Sofocle ha una singolarità
(tematica, caratterizzazioni, contrasti) più complessa delle schematizzazioni
che Hegel ne opera nella “Fenomenologia dello spirito”, e che ne hanno da
allora condizionato la lettura: la legge divina e quella umana, la famiglia e
lo Stato, il dissenso e la legge, gli affetti e la regola, e da qualche tempo
il “femminile\maschile”. Giovanni Greco ne ha fatto una traduzione-riduzione
che ridà corpo, nella forma di una candida di abito e ribollente Nika Perrone,
e personalità a Antigone, sfaccettandone la personalità e insieme contenendone
gli impeti. Sulla questione della sepoltura del fratello Polinice, morto in
battaglia contro la sua città, il
tiranno Creonte spiega ad Antigone sommesso che il diritto ha un senso più
alto, anche a costo di personali tragedie – del vincolo sentito personalmente
come insopportabile.
Antigone impersona
l’inconciliabilità della legge col sentimento, così se ne suole dire. È di
fatto una donna, gentile e animosa insieme, che lotta contro un apparato, di
leggi e di potere, che trova ingiusto. Ma Creonte, il nemico e persecutore, che
impone il dovere della legge, anche lui sa e sente tutto questo. Il tema sarà
posto da Platone, molto dopo dunque Eschilo e la sua eroina, per mezzo di
Socrate nel “Critone” e nel “Fedone”. Col Socrate storico si arriva all’opposto
di Antigone, all’accettazione di una giustizia dichiaratamente falsa.
La giustizia è un potere mondano,
la Giustizia, che può assolvere o condannare anche senza giustizia, in base
alle leggi. Antigone è la coscienza individuale, il sentimento di ogni essere
vivente, che può essere e può non essere in accordo con la legge, la quale
invece si vuole astratta, impersonale. Ma il tiranno Creonte anche lui ha
argomenti: è, deve essere, il garante di quell’ordine che solo può dare la pace
e la giustizia. Ordine che, sappiamo, è mobile, nei fini e nei limiti (divieti,
pene). Mentre la ribellione di Antigone è costante, i suoi presupposti lo sono.
Si può dire Antigone in astratto (prescindendo dalla tragedia cui dà il nome)
l’opposizione o antitesi alle semplificazioni che la legge implica. Il motore
quindi del suo costante adeguamento, della legge.
Una messinscena incredibilmente semplice,
e insieme evocativa, che immerge lo spettatore nel dramma. Greco, autore di
suo, è anche insegnante all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio
d’Amico. Con una compagnia dilettantistica, ha portato “Antigone” un anno fa a
Segesta, nelle rappresentazioni suggestive dell’“alba” e del “tramonto”. E
quest’anno nel Parco archeologico bruzio che sovrasta la scogliera di Palmi,
entro la piccola cavea di un borgo recentemente riportato alla luce. La
tragedia si enuncia e si svolge in piano con gli spettatori, sopra una distesa
lattea. Con il solo ausilio dei canti e dei cori creati e interpretati da
Daniela Troilo. La musica greca è un mistero, si sa, ma Troilo ne fa momenti
sempre aderenti: una tessitura semplice e insieme robusta, con effetti da grand opéra, benché con il solo ausilio
della sua voce.
Sofocle, Antigone, Parco Archeologico dei Tauriani
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